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SENTENZA CASSAZIONE CIVILE 30 NOVEMBRE 2003 N. 26079
Prelazione agraria: la ''denuntiatio'' deve avvenire in forma scritta
Cassazione , sez. III civile, sentenza 30.11.2005 n° 26079 ( HYPERLINK "http://www.altalex.com/?idstr=85&idu=235" Giuseppe Buffone)

La sentenza della Suprema Corte n. 26079/2005 cambia nuovamente le carte in tavola in materia di comunicazione al coltivatore o al confinante della proposta di alienazione del fondo ai fini della prelazione di cui all'art. 8 L. 590/65 e all'art. 7 L. 817/71.
L’art. 8 della legge 590/65 prescrive che l’obbligato debba “notificare con lettera raccomandata al coltivatore la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita”, (cd. denuntiatio). Nella fattispecie normativa si rinviene una previsione di prelazione legale cui consegue un diritto di riscatto in capo ai soggetti identificati dalla legge, (generalmente coltivatori diretti con particolare rapporto con il fondo in vendita, cfr. Cass. civ., sez. III, 16/03/2005, n. 5682 in Guida al Diritto, 2005, 15, 85; Cass. 14307/2005, Guida al Diritto, n. 40/2005, 55; Cass. civ., 09/06/2004, n.10972 in Mass. Giur. It., 2004).
La legge 590 del 1965, infatti, attribuisce al titolare del diritto di prelazione agraria un diritto potestativo accessorio di riscatto al fine di potere agire nei confronti del terzo acquirente per ottenere la proprietà del bene alienato: tale diritto è soggetto al termine decadenziale di un anno dalla trascrizione dell'acquisto del terzo. La ratio è quella di consentire al titolare del diritto di prelazione di ottenere la proprietà del bene che - in difetto di denuntiatio - non abbia potuto acquisire esercitando tempestivamente il diritto di prelazione nei confronti dell'alienante limitando tuttavia temporaneamente la possibilità di incidere nella sfera giuridica del terzo acquirente e armonizzando le ragioni del prelazionario pretermesso con il principio generale di tutela dell'affidamento dell'acquirente, che può vedersi privato del proprio diritto quantunque acquisito in buona fede, (così Trib. Bologna, sez. II, 20/10/2004 in Guida al Diritto, 2005, 23, 58).
Proprio al fine di legittimare sul piano legale il diritto di riscatto e, conseguentemente, valutarne i presupposti ex lege, particolare importanza assume la proposta di alienazione fatta dal venditore cui incombe l’onere di rispettare la prelazione: infatti, come già evidenziato, qualora il proprietario – alienante non provveda alla notificazione ex art. 8 legge 26 maggio 1965 n. 590, “l'avente titolo al diritto di prelazione può, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dell'acquirente e da ogni altro successivo avente causa”, (Cass. civ., sez. III, 22/01/2004, n.1103 in Arch. Civ., 2004, 1318). La denuntiatio, pertanto, rappresenta l’elemento di fatto più rilevante nel giudizio volto a risolvere i contrasti sorti tra il prelazionario pretermesso ed i terzi aventi causa dal venditore.
Orbene, la querelle giudiziaria ha avuto ad oggetto proprio la forma che la notifica ex art. 8 l. cit. debba rivestire, al fine di ritenere adempiuto l’obbligo previsto dalla legge a favore del coltivatore diretto.
L’orientamento giurisprudenziale risalente ha ritenuto, in modo costante, che la denuntiatio potesse ritenersi produttiva di effetti, (quindi anche ai fini del termine decadenziale previsto), solo qualora essa fosse stata resa in forma scritta, da ritenersi requisito di validità, (ex multis, Cass. civ. Sezione III, sentenza 5 ottobre 1991 n. 10429, n. 5568/1983, n. 8485/1987).
La proposta di vendita ex art. 8 l. cit. , pertanto, qualora effettuata solo verbalmente, dava luogo ad un negozio giuridico radicalmente nullo, se non giuridicamente inesistente.
La giurisprudenza più recente ha, tuttavia, invertito rotta e ritenuto di aderire al diverso orientamento per il quale “il diritto di prelazione agraria diventa attuale e concreto nel momento in cui il proprietario comunica ai soggetti interessati anche verbalmente la sua volontà di alienare il fondo a titolo oneroso”, (Cass. civ., sez. II, 29/05/1998, n.5306 in Mass. Giur. It., 1998).
La Cassazione ha così ritenuto che “in tema di prelazione agraria, la norma che prevede le formalità della comunicazione, pur perseguendo finalità di interesse sociale, ha carattere dispositivo e non cogente e inderogabile, sicché è rimessa all'iniziativa delle parti l'adozione di forme alternative di comunicazione, purché idonee a consentire la piena conoscenza della proposta in funzione dell'esercizio della prelazione. E nell'ambito del principio generale di libertà delle forme è sufficiente anche la forma verbale, non derivando alcun ostacolo dalla disposizione di cui all'art. 1351 c.c., che per i contratti preliminari aventi forma scritta richiede "ad substantiam" la medesima forma, poiché la comunicazione non ha natura di proposta contrattuale”, (si tratta di Cass. civ., sez. III, 19/05/2003, n.7768 in Arch. Civ., 2004, 370).
La sentenza in esame, richiamati i precedenti in distonia, sconfessa l’indirizzo liberista optando, pertanto, per un ennesimo revirement, (non nel senso generale di mutamento ma in quello stretto di ripensamento), ed adduce a sostegno della decisione un diverso ordine di argomentazioni:
la denuntiatio è, quanto alla natura giuridica, una proposta contrattuale e, dunque, un atto di carattere negoziale essendo la lettera della legge inequivoca in tal senso;
il requisito della forma sotto pena di nullità non allude alla “forma in senso generale” ma a quella cd. speciale, imposta per taluni negozi, (art. 1350 c.c.);
la denuntiatio è un atto preparatorio di una fattispecie traslativa avente ad oggetto un bene immobile
funzione di garanzia della forma de qua dei diversi interessi coinvolti
Quanto alla prima ragione addotta, il collegio precisa, infatti, che “la tesi invero della natura non negoziale della denuntiatio, seguita dal nuovo indirizzo giurisprudenziale, non è conciliabile con la lettera della legge, che non può essere del tutto trascurata, essa prevedendo, infatti, all'art. 8 comma 4°, espressamente a carico dell'alienante l'obbligo di notificare una “proposta”, intesa come proposta contrattuale, posto che l'incontro dei consensi del proprietario venditore e del coltivatore determina (come finisce, del resto, per ammettere lo stesso diverso indirizzo) la conclusione del contratto”.
Quanto alla seconda delle ragioni esposte, la Corte precisa che la configurazione della denuntiatio come proposta contrattuale ex art. 1326 c.c. si riflette, conseguentemente, sul piano della forma, secondo una corretta lettura ermeneutica delle disposizioni di riferimento. Infatti, “come è stato evidenziato in dottrina, se è vero che nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma come espressione dell'autonomia negoziale la quale consente al soggetto di emettere la dichiarazione di volontà secondo le modalità che preferisce, è ancor vero che il codice, nell'affermare che la forma è un requisito del negozio «quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità» (art. 1325 c.c.), si riferisce non alla forma in senso generale ma a quella forma per così dire speciale che la legge impone per alcuni negozi, quali «i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili», per i quali l'art. 1350, comma 1°, n. 1, c.c. richiede l'atto pubblico o la scrittura privata ad substantiam”.
Tale premessa fa da sfondo alla terza delle ragioni addotte, alla stregua della quale, la denuntiatio deve essere considerata “non solo come atto negoziale ma anche come atto preparatorio di una fattispecie traslativa avente ad oggetto un bene immobile, cioè il fondo”, cosicché “ne deriva che tale comunicazione deve necessariamente rivestire, in applicazione dell'art. 1350 c.c., la forma scritta ad substantiam, con inevitabili riflessi sul piano probatorio, non essendo, per questo, consentita la prova testimoniale, ex art. 2725 c.c. “.
Infine, il collegio ritiene che “la riconduzione della denuntiatio alla forma scritta, d'altronde, assolve, come sottolineatosi, ad esigenze di tutela e di certezza, nel senso che rende certa l'effettiva esistenza di un terzo acquirente, evitando che la prelazione possa essere utilizzata per fini speculativi in danno del titolare del diritto; assicura, a sua volta, al terzo acquirente, in caso di mancato esercizio della prelazione nello spatium deliberandi a disposizione del coltivatore, la certezza della compravendita stipulata con il proprietario, sottraendo l'acquirente al pericolo di essere assoggettato al retratto esercitato dal coltivatore pretermesso; garantisce infine il coltivatore in ordine alla sussistenza di condizioni della vendita più favorevoli stabilite dal proprietario promittente venditore e dal terzo promissario acquirente”.
L’orientamento così espresso dalla Suprema Corte merita di essere condiviso senza riserve anche se l’iter argomentativo seguito non si sottrae ad alcune censure.
La forza della motivazione a sostegno della tesi, infatti, risiede più che altro nella prima delle ragioni, sul piano formale, e nell’ultima delle ragioni addotte, sul piano sostanziale.
Innanzitutto, infatti, l’art. 8 l. cit. è assolutamente chiaro nel prendere posizione in ordine alla natura giuridica della denuntiatio, qualificata come proposta contrattuale, (1326 c.c.): tale dato non può essere tanto oggetto di interpretazione quanto piuttosto di una semplice opera di diagnosi ermeneutica che prenda atto della decisione a monte presa in sede legislativa.
Comunque, sul piano sostanziale, nella fattispecie viene in essere una precisa funzione perseguita dalla legge attraverso la denuntiatio che è quella di garantire un delicato equilibrio dei diritti coinvolti, assicurando la effettività della prelazione a tutela del soggetto debole (coltivatore diretto), garantendo la certezza dei traffici giuridici immobiliari e scongiurando trattative emulative o in frode al terzo.
Orbene, se queste motivazioni integrano il nucleo fondamentale della ratio legis è indubbio che l’unico vestimentum che possa farsene portavoce è quello della forma scritta, la sola idonea nel caso ad assolvere la funzione di responsabilizzazione e certezza dell’atto.
Tuttavia, nell’art. 8 l. 590/65 non si rinviene una espressa comminatoria di nullità ex art. 1325 n. 4 c.c., e, proprio per sopperire a tale omissione, la Corte veicola la soluzione attraverso la riqualificazione della denuntiatio come atto preparatorio attratto dalle prescrizioni ex art. 1350 c.c.
La scelta non è delle più felici ma, in sua vece, sarebbe stato necessario aderire ad una concezione funzionale della forma, teleologicamente orientata, sulla scorta della più autorevole dottrina in materia, per la quale ogni come del diritto ha un perché giuridicamente rilevante.
In conclusione, può precisarsi che, al di là della forma adottata, qualora il terzo acquirente e l’alienante abbiano dolosamente concertato l’elusione della prelazione legale a danno del prelazionario, l’eventuale contratto dovrebbe ritenersi nullo, sulla scorta della migliore dottrina, se non per causa illecita ai sensi dell’art. 1344 c.c. comunque perché integrante gli estremi del contratto a danno del terzo, non meritevole di tutela né altrimenti tollerabile in diritto.
(Altalex, 25 gennaio 2006. Nota di  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idstr=85&idu=235" Giuseppe Buffone)


Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 30 novembre 2005 n. 26079
Svolgimento del processo
Con citazione del g...

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