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Se in caso di contratto preliminare di vendita con possibilità di recesso unilaterale l’acquirente può pretendere dal giudice l’adempimento del contratto.-
Se in caso di contratto preliminare di vendita con possibilità di recesso unilaterale l’acquirente può pretendere dal giudice l’adempimento del contratto


Corte di Cassazione Sez. Seconda Civ. - Sent. del 04.10.2011, n. 20303

Stipulano un contratto preliminare di compravendita con la clausola che prevede la possibilità di recesso di una o l’altra delle parti. Il promissario venditore ci ripensa e rifiuta di stipulare il definitivo. L’acquirente non può pretendere dal giudice la conclusione del contratto. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 20303/2011.
Il caso. Con un contratto preliminare per la compravendita di un immobile, le parti convengono le modalità di pagamento. Un anticipo, in due rate, a titolo di garanzia, il saldo alla definizione del contratto. Il preliminare contiene anche una clausola, con cui è prevista la possibilità di recesso unilataterale.
Il promissario venditore, pur avendo ricevuto il pagamento dei due importi previsti a garanzia, rifiuta di vendere. L’acquirente si rivolge al Tribunale e chiede, ai sensi dell’art. 2932 c.c., la pronuncia della sentenza avente luogo del contratto non concluso. La norma richiamata dispone infatti che se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. Il giudice pronuncia la sentenza. Tutto da rifare, la Corte di Appello, ribalta la pronuncia di primo, rigettando la domanda proposta ex art. 2932.
L’acquirente non si da per vinto e promuove ricorso per Cassazione, ma, la Suprema Corte rigetta il ricorso.
In tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata. Il giudice di appello ha interpretato correttamente il contratto. Il preliminare, dopo aver precisato che le prime due rate del prezzo erano corrisposte a titolo di “garanzia”, prevede espressamente che se la vendita non si dovesse concludersi per colpa del venditore, questi avrebbe dovuto restituire la garanzia maggiorata degli interessi al 7% annuale e senza altra penalità, laddove se la vendita si fosse perfezionata per colpa dell’acquirente, questi avrebbe perso l’importo versato a garanzia.
Con tale clausola è stata attribuita a entrambi i contraenti la facoltà di recedere unilateralmente dalla promessa di concludere il contratto di compravendita, con predeterminazione convenzionale e forfetaria delle conseguenze economiche, con la precisazione che la somma versata contestualmente alla stipulazione del contratto preliminare non aveva natura di caparra confirmatoria, avendo le parti specificato che tale somma era corrisposta a titolo di “garanzia” e che, nel caso in cui il contratto definitivo non fosse stato perfezionato per ragioni imputabili al promittente venditore, questi avrebbe dovuto restituire solo l’importo ricevuto con gli interessi convenzionali e non in misura pari al doppio, secondo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 1385 c.c., che disciplina la caparra confirmatoria e dispone che se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra, se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto e esigere il doppio della caparra.
Corretta l’interpretazione secondo cui la clausola prevedente che i contraenti, nello stabilire che il compromesso di vendita sarebbe entrato in vigore al momento del pagamento della seconda rata hanno inteso fare riferimento al momento in cui tutti gli effetti derivanti dal vincolo contrattuale si sarebbero determinati, con ciò, la clausola attiene alla struttura negoziale e non alla sua esecuzione materiale da parte dei contraenti.




Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 5-4-1995 L. S. conveniva dinanzi al Tribunale di Livorno D.P.J.C., esponendo: - che il convenuto, con contratto preliminare stipulato il 21-6-1993, aveva promesso di venderle un bene immobile sito nel Comune di (…); - che il contratto prevedeva il corrispettivo di lire 275.000.000, di cui lire 83.000.000 a titolo di anticipo e lire 192.000.000 da pagare al momento della stipulazione del definitivo, entro e non oltre il 15-7-1993, quando sarebbe stato trasferito anche il possesso dell’immobile; - che, pur avendo ricevuto la somma di lire 83.000.000, il D. si era rifiutato di trasferire l’immobile promesso in vendita, adducendo inconferenti considerazioni sulla congruità del prezzo pattuito nel contratto preliminare. Tanto premesso, l’attrice chiedeva che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., venisse pronunciata sentenza avente luogo del contratto non concluso, con condanna del promittente venditore al risarcimento dei danni. Nel costituirsi, il convenuto contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto, deducendo che il preliminare prevedeva che, qualora la vendita non fosse stata perfezionata per colpa del venditore, questi avrebbe dovuto restituire la somma di lire 83.000.0000 ricevuta a titolo di garanzia, oltre interessi nella misura del 7% annuo, senza altra penalità; che la clausola in esame prevedeva, a suo avviso, la dazione di una somma a titolo di caparra confirmatoria e che, pertanto, l’attrice avrebbe potuto chiedere esclusivamente la risoluzione del contratto e la restituzione degli importi versati, con gli interessi convenzionalmente previsti, ma non un diverso e maggiore risarcimento danni. Con sentenza del 21-3-2002 il Tribunale adito, in accoglimento della domanda, trasferiva alla L. la proprietà dell’immobile oggetto del preliminare, previo pagamento del residuo prezzo di lire 142.430.000. La predetta sentenza veniva impugnata dal D. Con sentenza depositata il 19-10-2004 la Corte di Appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda attrice. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la L., sulla base di un unico motivo. Il D. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1367 e 1371 c.c. Deduce che la Corte di Appello, pur avendo correttamente ritenuto che le parti, con la clausola n. 3 del contratto preliminare di compravendita, avevano previsto una condizione risolutiva potestativa, ha erroneamente dissentito dal giudizio espresso dal Tribunale, secondo cui i contraenti, nello stabilire che “questo compromesso entrerà in vigore al momento del pagamento della seconda rata”, avevano individuato con riferimento a quel versamento il momento in cui il contratto avrebbe avuto quel principio di esecuzione dopo il quale, ai sensi dell’art. 1373 c.c., non sarebbe stato più possibile esercitare la facoltà di recesso. Sostiene che il richiamo operato dal giudice di appello alla norma prevista dall’art. 1367 c.c., per ritenere efficace il recesso del convenuto, è limitativo, dovendo l’analisi ermeneutica del contratto essere eseguita tenendo conto del regolamento negoziale nel suo complesso, prima di ricorrere al criterio interpretativo sussidiario dettato da tale norma. Rileva che la Corte di Appello non ha considerato che la clausola n. 3 non recita solamente “questo compromesso entrerà in vigore al momento del pagamento della seconda rata”, ma anche “capito che, se non si paga questa seconda rata, la prima resta proprietà del venditore”. Secondo la ricorrente, la clausola in esame, nel suo insieme, dimostra chiaramente che le parti hanno inteso prevedere che sino al pagamento del secondo acconto il contratto non avrebbe avuto inizio di esecuzione, costituendo, alla stregua dell’art. 1386 c.c., solo il versamento del primo acconto, contestuale alla stipula del preliminare, la caparr...

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