SENTENZA CASSAZIONE CIVILE 24 NOVEMBRE 2005 N. 24782
Preliminare di vendita: ignoranza dell'altruità del bene e azione di risoluzione
Cassazione, sez. II civile, sentenza 24.11.2005 n° 24782
In tema di contratto preliminare di vendita, il promissario acquirente il quale ignori che il bene, al momento dell’atto, appartenga in tutto o in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore fino a tale momento può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24782 del 25 novembre 2005, confermando, ed in tal modo consolidando, un recente orientamento giurisprudenziale (vedi Cass. Civ. n. 21179/2004).
La Suprema Corte ha mostrato di aver in tal modo superato l’orientamento precedente (Cass. Civ. 8434/1995) secondo il quale il promissario acquirente il quale ignorava che, al momento della stipula del contratto preliminare, la cosa promessa non apparteneva al promittente venditore, bensì ad un terzo, può sia proporre l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., sia chiedere, ai sensi dell'art. 1479 c.c., la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente.
(Altalex, 20 gennaio 2006. Nota a cura del dott. Marco Pregno)
La Corte suprema di Cassazione
Sezione Seconda civile
Sentenza n° 24782/05
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 28 agosto 1992 Armando T. conveniva in giudizio davanti al tribunale di Torino Giovanni B. e, premesso di avere stipulato con questo, in data 16 febbraio 1992, un contratto preliminare per l’acquisto di un appartamento in Torino per il prezzo di £ 180.000.000, e che il promettente venditore si era reso inadempiente agli obblighi contrattualmente assunti, in quanto non aveva liberato l’immobile dal conduttore, non aveva eliminato alcune irregolarità di accatastamento ed aveva lasciato che l’immobile stesso subisse gravi danni a causa di copiose infiltrazioni di acqua, chiedeva, tutto ciò premesso, in via principale, la risoluzione del contratto preliminare per fatto e colpa del convenuto e la sua condanna alla restituzione dell’acconto dei £ 50.000.000, e, in via subordinata, pronuncia di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., con congrua riduzione del presso, e, in ogni caso, la condanna del B. al risarcimento dei danni, stimati in £ 40.000.000, con rivalutazione ed interessi. Si costituiva il convenuto, esponendo di avere citato, a sua volta il T., per far accertare il suo inadempimento all’obbligo di concludere il contratto definitivo, e chiedendo, pertanto, pronuncia di sentenza produttiva degli effetti del contratto non concluso, con la condanna dell’attore al pagamento del residuo prezzo. Riuniti i due giudizi promossi separatamente da attore e convenuto, l’adito tribunale, con sentenza del 20 maggio 1997, all’esito dell’espletata istruttoria, e pronunciando anche sulle domande formulate in corso di causa, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per fatto e colpa del convenuto, che condannava alla restituzione all’attore della somma di £ 50.000.000, oltre agli interessi legali ed agli interessi sugli interessi, nonché al risarcimento dei danni, liquidati in “ 30.000.000, con gli interessi legali dalla domanda al saldo e spese di causa.
Proposto appello principale del B. e appello incidentale del T., la corte di appello di Torino, con sentenza del 30 luglio 2001, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare del 16-02-1992 per fatto e colpa del T., ha rigettato la domanda di quest’ultimo di risoluzione del contratto per fatto e colpa del B., nonché le domande risarcitorie proposte da entrambe le parti, ha dichiarato inammissibile la domanda del T. per il risarcimento del maggior danno ex art. 1224 II co. c.c. e condannato, infine, lo stesso al rimborso a favore del B. delle spese del doppio grado di giudizio.
Questa che segue, in sintesi, la motivazione posta dalla corte territoriale a base della decisione. Premesso che con riguardo agli inadempimenti del promettente venditore Giovanni B., dedotti dal promissario acquirente Armando T., il tribunale ha accettato l’insussistenza di quelli relativi alla permanenza del conduttore nell’immobile promesso in vendita ed alle infiltrazioni derivanti dagli scarichi di acque, e che le statuizioni concernenti tali questioni non sono state oggetto di gravame, per cui in ordine alle stesse si è formato il giudicato interno, la corte si è soffermata a verificare se l’unica inadempienza accertata dal tribunale a carico del B., relativa alla mancata disponibilità, da parte sua, dell’immobile oggetto del contratto preliminare all’epoca della conclusione di questo, risalente al 16-05-1992, sia effettivamente sussistente.
A giudizio della corte, siffatto inadempimento non è ravvisabile, a motivo che, pur essendo risultato che a quell’epoca l’immobile oggetto del preliminare era di proprietà della Società Industria Pezzani Affini di F. B. e C. s.n.c. e che il T. non era a conoscenza di tale circostanza, si sarebbe potuto parlare di inadempimento del promettente venditore – la cui obbligazione, discendente dal contratto preliminare, è quella di far acquistare la proprietà – solo se alla scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo il B. non fosse stato in grado di far acquistare al T. la proprietà dell’immobile.
Ne deriva che, non essendosi verificata, nella fattispecie, una situazione del genere, per l’accertata insussistenza, al momento in cui è stata proposta la domanda di risoluzione del preliminare, di ostacoli al trasferimento della proprietà del bene al T., e dovendosi escludere, quindi, l’applicabilità dell’art. 1479 I co. c.c., immotivatamente ed in ingiustificatamente, secondo la corte quest’ultimo si è opposto alla richiesta, documentata in atti, inviatagli dal promettente venditore di procedere alla stipula del contratto definitivo, per cui deve dichiararsi la risoluzione del preliminare per fatto e colpa di lui, rigettandosi nel contempo la sua domanda contrapposta di risoluzione per fatto e colpa del B., nonché quelle di risarcimento dei danni.
Quanto alla domanda proposta dal B. di condanna del T. al risarcimento del danno quantificato nella misura di £ 80.000.000 – pari, cioè, alla differenza di prezzo tra il corrispettivo fissato nel contratto preliminare ed il minor prezzo conseguito dallo stesso B. con la vendita in favore di un terzo compiuta in corso di causa – domanda non esaminata dal tribunale e riproposta in appello ex art. 346 c.p.c., la conte l’ha ritenuta infondata, in quanto tale preteso danno non è ricollegabile alla responsabilità contrattuale del promissario acquirente, bensì ad un’autonoma iniziativa del venditore.
Ricorre per la cassazione della sentenza T. Armando in forza di quattro motivi.
Resiste con controricorso B. Giovanni, che propone ricorso incidentale e ricorso incidentale condizionato in forza di due motivi, cui il T. resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Denuncia il ricorrente principale:
1) Violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1460 c.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Con tale motivo, il ricorrente critica la corte che, facendo confusione tra i presupposti giuridici dell’azione di risoluzione ex art. 1453 c.c. e quelli dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., ha ritenuto erroneamente che questa non potesse essere fondatamente apposta dal promissario acquirente alla domanda di risoluzione del contratto preliminare proposta dal promettente venditore – per il rifiuto del primo di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo – una volta assodato che gli originari inadempimenti del B., dedotti da esso ricorrente, non erano stati ritenuti tali da giustificare la risoluzione del preliminare, che era stata dichiarata, peraltro, dal tribunale per violazione, da parte del predetto B., dell’art. 1479 c.c.
In altri termini, secondo il ricorrente la corte ha errato nel momento in cui, mostrando di non avere affatto colto la distinzione correttamente operata dal tribunale, ha dato per assodato che la mancanza di presupposti per la pronuncia di risoluzione del contratto determinasse ipso facto l’infondatezza dell’accezione di inadempimento e rendesse quindi ingiustificato il rifiuto di esso T. di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Il ricorrente si duole, con questo motivo, che la corte non abbia rilevato d’ufficio che sull’eccezione d’inadempimento sollevata dal T. ed accolta dal tribunale, per farne discernere la risoluzione del preliminare per fatto e colpa del B., si era formato il giudicato, non avendo quest’ultimo proposto al riguardo alcun specifico motivo d’impugnazione.
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1479 c.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere, la corte, omesso di considerare che, nel mome...
... continua