QUESITO N.308: Se un fabbricato e un terreno agricolo separati da una strada, ma appartenenti allo stesso proprietario, possono essere venduti liberi da pesi nel caso in cui il terreno, ma non il fabbricato, sia affittato in virtù di un accordo verbale.
Quesito n. 308: Se possono essere venduti congiuntamente e liberi da pesi un fabbricato e un terreno agricolo con destinazione B – satura, separati da una strada ed appartenenti allo stesso proprietario, nel caso in cui, il terreno, ma non il fabbricato, sia nel possesso di persona diversa dal proprietario la quale coltiva il fondo da 18 anni in virtù di un accordo verbale e che è a sua volta proprietaria di un diverso fondo confinante col terreno agricolo in oggetto.-
Per risolvere il quesito in esame è necessario chiarire quali sono i diritti che spettano all’affittuario coltivatore del fondo nel caso in cui il proprietario decida di vendere il terreno agricolo e su tali aspetti sia dottrina che giurisprudenza sono concordi da anni su alcuni punti fondamentali.-
L’art. 41 della l. n. 203 del 1982 dispone che “i contratti agrari ultranovennali, compresi quelli in corso, anche se verbali o non trascritti, sono validi ed hanno effetto anche riguardo ai terzi”; al riguardo dottrina (v. BESSONE, TRABUCCHI) e giurisprudenza (Cfr. per tutte la sent. Cass. civile, sez. III, 03 agosto 2005, n. 16242) sono concordi nel ritenere che l’articolo in questione ha introdotto per i contratti agrari il criterio della «libertà di forma» e cioè sono opponibili ai terzi anche se stipulati verbalmente o per fatti concludenti. Si precisa che, sempre in base alla legge n. 203/82, sia per il coltivatore diretto che per il coltivatore non diretto la durata minima di questi contratti è di 15 anni salvo casi particolari. La prova della sussistenza di un contratto di locazione agraria può essere fornita con ogni mezzo, quindi anche attraverso dichiarazioni testimoniali, un verbale di occupazione della Provincia, ricevute, presunzioni ecc. (Cfr. per tutte la sent. Cass. civile , sez. III, 05 marzo 2007, n. 5073).-
Detto questo vi è da dire che l’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, così dispone: “in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l'affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno due anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia”. Lo scopo di tale norma è quello di collegare la proprietà del fondo agricolo con il soggetto che con la sua opera determina lo sfruttamento del suolo.-
La qualità di coltivatore diretto deriva dalla diretta ed abituale coltivazione della terra e dal governo del bestiame, ma non occorre che tale attività sia prevalente rispetto ad altre attività eventualmente svolte dal coltivatore, né rileva il carattere periodico o stagionale dei lavori agricoli, infatti la giurisprudenza è conforme nel ritenere che la qualifica di coltivatore diretto, in relazione al requisito della "coltivazione abituale", previsto dall'art. 31 l. 26 maggio 1965 n. 590 in linea generale e quindi anche ai fini del diritto di prelazione e di quello succedaneo di riscatto, va attribuita anche a chi svolge altra attività lavorativa principale, poiché l'abitualità va intesa quale normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l'attività agricola venga svolta in modo stabile e continuativo anche se non professionale, prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia, traendo da tale attività un reddito, ancorché secondario. (Cfr. sentt. Cass. civile , sez. III, 23 gennaio 1995, n. 759; Cass. 18 gennaio 1983, n. 475; Cass. 7 marzo 1981, n. 1289; Cass. 11 giugno 1979, n. 3294; Cass. 23 aprile 1980, n. 2664). Inoltre ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione e della domanda di riscatto ex art. 8 della legge n. 590 del 1965, la prova della qualità di coltivatore diretto in capo al richiedente deve essere fornita in concreto, ovvero dimostrando l'effettivo esercizio dell'attività agricola con lavoro prevalentemente proprio o della propria famiglia, rimanendo irrilevante il dato formale dell'eventuale iscrizione dell'interessato in appositi elenchi o albi, anche la prova di tale requisito può essere fornita con ogni mezzo. (Cfr. sentt. Cass. Civ., sez. III, 20 gennaio 2006, n. 1112; Cass. Civ., sez. III, 19 gennaio 2006, n. 1020; Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2006, n. 413).-
A tanto deve aggiungersi che l’art. 7, l. 14 agosto 1971, n. 817, attribuisce il diritto di prelazione per l’acquisto di fondi agricoli “al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti”. Tale norma riconosce il diritto di prelazione al proprietario del fondo confinante, purché egli sia coltiva...
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