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Se il promissario acquirente, nell’acquisto di beni immobili, può richiedere l’eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo.-
Se il promissario acquirente, nell’acquisto di beni immobili, può richiedere l’eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo.-

Nel contratto preliminare di vendita, nel caso che la cosa sia affetta da vizi, il promissario acquirente che non voglia domandare la risoluzione del contratto, può agire contro il promittente per l'adempimento, chiedendo, anche disgiuntamente dall'azione prevista dall'art. 2932 c.c., l'eliminazione dei vizi oppure, in alternativa, la riduzione del prezzo.-
Tali due azioni, infatti, mirando entrambe ad assicurare, in modo alternativo tra loro, il mantenimento dell'equilibrio del rapporto economico di scambio previsto dai contraenti, costituiscono mezzi di tutela di carattere generale che, in quanto tali, devono ritenersi utilizzabili anche per il contratto preliminare, non rinvenendosi nel sistema positivo, né in particolare nel disposto dell'art. 2932 c.c., ragioni che impediscano di estendere anche a tale tipo di contratto la tutela stabilita, a favore della parte adempiente dai principi generati in tema di contratti a prestazioni corrispettive.-
 HYPERLINK "http://www.scenari.giuffre.it/psixsite/CIVILE/La%20tutela%20dell_acquirente%20di%20beni%20immobili,%20mobili%20e%20di%20cons/Milena%20Montanari_doc_psix/Milena%20Montanari.htm" \t "attach" Cass. civ., Sez. II,  Sentenza  26 Gennaio 2010 , n. 1562


Cass. civ., Sez. II, Sentenza 26 gennaio 2010, n. 1562
 
 
Svolgimento del processo
 
D.E. conveniva in giudizio C.R. e C.G. esponendo: che, con scrittura privata del 13/4/1999, i convenuti si erano obbligati a vendere ad esso attore, che si era obbligato ad acquistare, un locale in Bari alla via S. al prezzo di L. 970.000.000 con atto da stipularsi entro il 20/7/1999; che i promettenti venditori si erano obbligati a cancellare l'ipoteca accesa sul locale, nonché ad esibire contestualmente alla stipula dell'atto definitivo la documentazione relativa alla pratica di condono; che alla data del 20/7/999 non si era proceduto alla stipula del definitivo in quanto i C. non avevano consegnato al notaio la documentazione necessaria; che, con telegramma del 24/7/1999 esso D.E. aveva comunicato ai promettenti venditori la sua volontà di risolvere il preliminare per la grave inadempienza dei C. i quali avevano riscontrato la comunicazione respingendo ogni addebito di responsabilità e contestando ad esso attore presunte inadempienze; che in seguito le parti avevano convenuto di evitare inutili contenziosi decidendo di procedere alla stipula dell'atto pubblico; che, malgrado ciò, i C., convocati innanzi al notaio per la stipula, avevano comunicato con telegramma del 2/9/1999 che nessuna intesa era mai intercorsa dopo il 24/7/1999 essendo già intervenuta la risoluzione; che era chiara l'intenzione dei promittenti venditori di non adempiere. L'attore chiedeva quindi: emettere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. dando atto della disponibilità di esso D.E. a versare il residuo prezzo di L. 920.000.000, con condanna dei promettenti venditori al risarcimento dei danni; in via subordinata pronunciare la risoluzione del preliminare per inadempimento dei convenuti.
I C. si costituivano ed eccepivano in via preliminare l'inammissibilità della domanda di esecuzione in forma specifica avendo le parti, con le reciproche comunicazioni del 24/7/99 e 29/7/99, risolto il preliminare per mutuo consenso. I convenuti contestavano poi ogni loro addebito di responsabilità e, deducendo che l'attore non aveva adempiuto all'obbligo di pagamento della somma di L. 720.000.000 entro il termine del 20/7/99, spiegavano domanda riconvenzionale di risoluzione per grave inadempimento del D.E. con condanna del medesimo al pagamento della convenuta penale.
Con memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c. l'attore, deducendo che i convenuti nelle more del giudizio avevano locato a terzi l'immobile in contestazione, chiedeva la riduzione del prezzo.
Con sentenza 12/2/2003 l'adito tribunale di Bari accoglieva la domanda dell'attore di esecuzione specifica e quella di riduzione del prezzo disponendo, previo versamento del saldo di Euro 380.112,28, il trasferimento della proprietà dell'immobile dai C. al D.E. e condannando i convenuti al risarcimento dei danni nella misura di Euro 51.645,69 oltre accessori.
Avverso la detta sentenza i C. proponevano appello al quale resisteva il D.E..
Con sentenza 20/7/2004 la corte di appello di Bari rigettava il gravame osservando: che era infondata la tesi degli appellanti relativa alla avvenuta risoluzione del contratto in questione per mutuo consenso; che non era possibile ravvisare, nello scambio tra le parti di due telegrammi, una risoluzione per mutuo consenso posto che i C. nel loro telegramma non avevano manifestato la loro volontà di risolvere il contratto essendosi limitati a prendere atto della volontà del D.E. di risolvere il preliminare; che pertanto mancava nella specie il dato caratteristico dello scioglimento del contratto per mutuo consenso costituito dal pieno e totale accordo delle parti su tutti gli elementi del regolamento negoziale; che, del resto, i C., nonostante la prospettata risoluzione per mutuo consenso, avevano contraddittoriamente proposto domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento del D.E.; che i contraenti, dopo le reciproche contestazioni di inadempienze, con comportamenti inequivoci e concludenti (nel dettaglio indicati e relativi, in particolare, alla procedura per la cancellazione ipotecaria, alla certificazione sul condono edilizio, ai rapporti con l'agenzia immobiliare Vitulli), avevano deciso di portare in esecuzione il preliminare in quanto vicendevolmente interessati alla conclusione della vendita; che non sussistevano dubbi sulla volontà delle parti di revocare le precedenti comunicazioni di risoluzione per inadempimento, revoca desumibile, tra l'altro, dal concordato rimando della data di stipula del definitivo ai primi di settembre; che la volontà delle parti di rinunciare al diritto di domandare la risoluzione risultava provata documentalmente da atti inequivoci compiuti dai contraenti in virtù delle intese raggiunte tramite l'agenzia immobiliare Vitelli; che le parti, con le intese raggiunte dopo le contestazioni reciproche di inadempienza, avevano convenuto di dare esecuzione al preliminare fissando per la stipula del definitivo la nuova data del 6/9/99; che alla detta data i C. non si erano presentati innanzi al notaio rifiutando definitivamente di stipulare l'atto di trasferimento; che, in riferimento a questo ingiustificato rifiuto di stipulare il contratto definitivo, era stata pronunciata dal tribunale la sentenza di accoglimento della domanda del D.E. e di rigetto della domanda riconvenzionale attese l'inadempienza dei C. e l'insussistenza di qualsiasi inadempienza del D.E.; che il versamento del prezzo e la stipula del definitivo, secondo le clausole del preliminare, dovevano avvenire contestualmente con il verificarsi di tutte le condizioni previste in contratto; che la domanda di riduzione del prezzo non poteva essere definita nuova in quanto ritualmente avanzata dal D.E. con la memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c.; che con tale richiesta era stata solo modificato l'ammontare del prezzo senza alcun mutamento sostanziale dell'azione e dei termini della controversia; che la detta domanda era ammissibile e fondata sussistendo i requisiti dell'azione quanti minoris posto che il contratto di locazione stipulato dai C. non poteva essere considerato un onere apparente né conosciuto dal D.E. in quanto posto in essere dopo la conclusione del preliminare e nel corso del giudizio all'insaputa e senza il consenso del D.E.; che la locazione rivestiva il carattere di onere o peso gravante sull'immobile comportando una limitazione per il futuro proprietario del libero godimento e della libera circolazione del bene; che correttamente il tribunale aveva operato una decurtazione del 25% sul prezzo pattuito affermando che costituiva “un dato di comune esperienza, facilmente rilevabile da una mera indagine di mercato, che il valore degli immobili, per effetto del vincolo locativo, subisce una decurtazione del 25%”; che tale motivazione non era arbitraria ben potendo il giudice, a norma dell'art. 115 c.p.c., porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; che del resto la decisione del tribunale sul punto aveva trovato conferma nelle acquisite dichiarazioni di due importanti e note agenzie immobiliari; che il tribunale aveva accolto la domanda di risarcimento danni condannando i C. al versamento dell'importo di Euro 51.654,69 determinato in via equitativa per il mancato godimento dell'immobile e per oneri e spese da sopportarsi dall'attore per riacquistare la disponibilità del bene; che era in re ipsa la prova dei danni subiti dal D.E. il quale solo con la sentenza del 12/2/2003, ossia dopo oltre tre anni dalla data concordata con il preliminare, aveva ottenuto il trasferimento dell'immobile; che, in ordine al quantum, legittimamente il tribunale aveva fatto riferimento alla valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. quantificando il pregiudizio in Euro 51.654,69 in relazione a tre anni e mezzo di indisponibilità dell'immobile, somma che poteva dirsi riduttiva tenuto conto della notevole perdita di guadagno subito in detto periodo dal D.E. impedito a rivendere o a locare l'immobile; che, secondo gli appellanti, il tribunale avrebbe dovuto riconoscere ad essi C. gli interessi sul prezzo corrispettivo; che tale tesi, oltre che inammissibile per genericità, era infondata dato che il pagamento del saldo era stato previsto contestualmente alla stipula del definitivo.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Bari è stata chiesta da R. e G. C. con ricorso affidato a sette motivi. D.E. ha resistito con controricorso.
 
Motivi della decisione
 
Con il primo motivo di ricorso i C. denunciano violazione degli artt. 1372, 1322 e 1362 c.c., nonché vizi di motivazione, deducendo che il principio affermato nella sentenza impugnata - secondo cui l'esistenza del patto risolutivo per mutuo consenso è subordinata al pieno e totale accordo su tutti gli elementi del regolamento negoziale - si traduce in una errata interpretazione dell'art. 1372 c.c. È infatti pacifico che la corretta interpretazione di detto articolo è nel senso che il negozio risolutivo per mutuo consenso non ha sempre e comunque effetto liberatorio ben potendo lasciare impregiudicata l'azione per danni connessi all'inadempimento del negozio estinto. Ne consegue che, al contrario di quanto affermato dalla corte di appello, è ammissibile la risoluzione consensuale anche in presenza di reciproche contestazioni per inadempimenti. La volontà di risolvere un contratto per mutuo consenso non è incompatibile con l'intenzione di non rinunciare all'azione per danni da inadempimento. Ciò rappresenta esplicazione del potere di autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c. La corte di appello al riguardo ha omesso di considerare: a) che il patto risolutivo si era perfezionato con l'invio da parte di essi C. del telegramma 29/7/1999 con il quale era stata prestata adesione alla volontà del D.E. di risolvere il preliminare; b) che con le due separate dichiarazioni di volontà le parti erano addivenute alla risoluzione del preliminare per mutuo consenso; c) che il patto risolutivo era stato perfezionato per iscritto; d) che ciascuna parte aveva escluso il proprio inadempimento. La comune volontà delle parti di risolvere il preliminare emerge poi: 1) dalla volontà di essi C. - manifestata nel telegramma del 29/7/1999 - di trattenere una somma a titolo di penale per l'inadempimento imputabile al D.E.; 2) dalle dichiarazioni di essi C. contenute nel telegramma del 2/9/1999 circa l'inesistenza di intese in ordine alla risoluzione consensuale del preliminare; 3) dalle dichiarazioni del D.E. contenute nell'atto di citazione con le quali era stata riconosciuta la risoluzione per mutuo consenso; 4) dall'atteggiamento processuale di essi ricorrenti sin dal primo atto difensivo in ordine all'asserito perfezionamento di un negozio risolutivo per mutuo consenso; 5) dalle dichiarazioni del teste Belvisio e del teste Vitulli. La corte di merito, inoltre, ha omesso di esaminare il telegramma di essi C. datato 2/9/1999 e il contenuto dell'atto di citazione del D.E..
La Corte rileva l'infondatezza delle dette censure che si risolvono essenzialmente, pur se titolate come violazione di legge e come difetto di motivazione, nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonché nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità se sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto: il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l'iter argomentativo seguito nell'impugnata sentenza. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. Né per ottemperare all'obbligo della motivazione il giudice di merito è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.
Va aggiunto che, come è pacifico nella giurisprudenza di legittimità, l'accertamento della risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce apprezzamento di fatto del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione.
Del pari è pacifico che l'interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudico del merito: tale accertamento è incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un'interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui all'art. 1362 c.c., e seguenti. L'identificazione della volontà contrattuale che, avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed obiettiva, concreta un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al Giudice di merito - e censurabile non già quando le ragioni poste a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì quando siano insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica. Pertanto in questa sede di legittimità la censura dell'interpretazione data dai giudici di merito agli atti negoziali può essere formulata sotto due distinte angolazioni; denunciando l'errore di diritto sostanziale per non essere state rispettate le regole di ermeneutica dettate dagli artt. 1362 c.c., e seguenti; ovvero investendo la coerenza formale del ragionamento attraverso il quale la sentenza impugnata è pervenuta a ricostruire la comune intenzione delle parti.
Va altresì ribadito che l'apprezzamento della concludenza del comportamento della parte è riservato al giudice di merito: l'art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti.
Ciò posto va osservato che nel caso in esame non sono ravvisabili né il lamentato difetto di motivazione, né l'asserita violazione di legge: la sentenza impugnata è del tutto corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.
Come sopra riportato nella ampia parte narrativa che precede, la Corte di appello ha escluso la possibilità di ravvisare nel contenuto dei due telegrammi inviati da una parte all'altra il 24/7/99 e il 29/7/99 l'avvenuto e raggiunto accordo dei contraenti di risolvere consensualmente il contratto preliminare stipulato in data 13/4/99 con la caducazione delle obbligazioni scaturenti da tale contratto.
La Corte di appello è pervenuta alla detta conclusione (dai ricorrenti criticata) attraverso complete argomentazioni, improntate a retti criteri logici e giuridici - nonché frutto di un'indagine accurata e puntuale delle risultanze di causa riportate nella decisione impugnate e, in particolare, del contenuto dei detti telegrammi e del comportamento processuale ed extraprocessuale delle parti - ed ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento facendo anche riferimento al comportamento processuale dei C. ed alla loro domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto logicamente incompatibile con la tesi dell'avvenuta risoluzione per mutuo consenso.
Alle dette valutazioni i ricorrenti contrappongono le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione. Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta chiaro che la Corte di merito, nel porre in evidenza gli elementi probatori favorevoli alle tesi del D.E., ha implicitamente espresso una valutazione negativa delle contrapposte tesi dei C..
Sono pertanto insussistenti gli asseriti vizi di motivazione e le dedotte violazioni di legge che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.
In definitiva, poiché resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimità ogni possibilità di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non possono i ricorrenti pretendere il riesame del merito sol perché la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dalla Corte territoriale non collima con le loro aspettative e confutazioni.
Occorre poi evidenziare che il giudice di secondo grado ha proceduto all'interpretazione dei sopra menzionati telegrammi ed alla valutazione del significato letterale e logico della espressioni ivi contenute. Il procedimento logico - giuridico sviluppato nell'impugnata decisione è ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell'interpretazione del contenuto dei detti telegrammi è fondato su un'indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione adeguata ed immune dai vizi denunciati.
Nella sentenza impugnata sono evidenziati i punti salienti della decisione e risulta chiaramente individuabile la “ratio decidendi” adottata. A fronte delle coerenti argomentazioni poste a base della conclusione cui è pervenuta la corte di appello, è evidente che le censure in proposito mosse dai ricorrenti devono ritenersi rivolte non alla base del convincimento del giudice, ma, inammissibilmente in queste sede, al convincimento stesso e, cioè, all'interpretazione dei telegrammi: i ricorrenti contrappongono all'interpretazione dei detti atti negoziali ritenuta dalla corte di appello la loro interpretazione.
Peraltro le censure mosse dai ricorrenti non sono meritevoli di accoglimento anche per la loro genericità non essendo stato precisato il contenuto specifico e completo dei telegrammi dei quali lamentano l'errata interpretazione.
Deve pertanto ritenersi corretta l'operazione ermeneutica compiuta dalla corte di appello - la quale non è incorsa nella violazione dei criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. - ed anche se i ricorrenti lamentano la violazione delle citate norme codicistiche, svolgendo al riguardo generiche argomentazioni, la rilevata coerente applicazione dei canoni interpretativi da parte del giudice di secondo grado, rende manifesto che è stato investito essenzialmente il “risultato” interpretativo raggiunto, il che è inammissibile in questa sede.
Va poi segnalato che le critiche concernenti l'asserito omesso o errato esame di alcune risultanze istruttorie (dichiarazioni di essi C. contenute nel telegramma del 2/9/1999; dichiarazioni del D.E. contenute nell'atto di citazione; dichiarazioni dei testi Belvisio e Vitelli) non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per l'incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericità in ordine all'asserita erroneità in cui sarebbe incorso il giudice di appello nell'interpretare e valutare le dette risultanze istruttorie.
Le censure in esame non riportano il contenuto specifico e completo delle dette risultanze probatorie e non forniscono alcun dato valido per ricostruire, sia pur approssimativamente, il senso complessivo di tali risultanze. Ciò impedisce a questa Corte di valutare - sulla base delle sole deduzioni contenute in ricorso - l'incidenza causale del denunciato difetto di motivazione e la decisività dei rilievi al riguardo mossi dai ricorrenti.
Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduce l'omessa o l'erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l'onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove non esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell'asserito vizio di valu...

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