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Contratto di mediazione immobiliare: se la clausola di invariabilità della provvigione sia da considerarsi alla stregua di clausola penale.-
Contratto di mediazione immobiliare: se la clausola di invariabilità della provvigione sia da considerarsi alla stregua di clausola penale

La decisione si segnala per aver considerato alla stregua di clausola penale un patto di invariabilità della provvigione contenuto in un contratto di mediazione stipulato tra un consumatore ed un mediatore immobiliare. Contrariamente a quanto di fatto ritiene il giudice, la vessatorietà di singole clausole contrattuali (ex artt. 33 ss. cod. cons.) non è esclusa dalla loro operatività "bilaterale", vale a dire sia a favore che a carico di ciascun contraente, dovendo l'interprete verificare la loro incidenza in concreto sull'"equilibrio normativo" del contratto. Per quanto attiene, in particolare, alla clausola penale, il giudizio di vessatorietà non può esaurirsi nell'accertamento che essa prevede il pagamento del medesimo importo, a titolo di penale, a favore e a carico di ciascun contraente, dovendosi considerare la gravità dei singoli inadempimenti da essa disciplinati. 
Sommario: 1. Il fatto. 2. Clausola penale e patto di invariabilità della provvigione. 3. Disciplina di diritto comune della clausola penale e contratti del consumatore. 4.L'esclusione del carattere "manifestamente eccessivo" (ex art. 1384 c.c.) della clausola penale commisurata alla provvigione. 5. La vessatorietà della (asserita) clausola penale. 6. Il patto di invariabilità della provvigione è vessatorio? 7.Conclusioni. 

1. IL FATTO
La fattispecie riguarda un contratto di mediazione immobiliare stipulato tra un consumatore ed un mediatore immobiliare. Le parti si accordano nel senso che la provvigione "dovrà calcolarsi nella misura fissa del 5% su un prezzo che le parti fissano in L. 60 milioni anziché sul diverso e maggiore prezzo di vendita fissato" e che "per i loro rispettivi eventuali inadempimenti" ciascun contraente è tenuto a pagare, a titolo di penale, un importo pari alla provvigione. Alla scadenza del contratto il mediatore restituisce la documentazione relativa all'immobile, fornendo al proprietario un elenco delle persone che lo hanno visionato. Successivamente, il venditore stipula un contratto di vendita con uno dei soggetti contattati dal mediatore per un prezzo che nell'atto di compravendita viene indicato in 10.500. Il mediatore, venuto a conoscenza della vendita, reclama il pagamento della provvigione nella misura convenzionalmente determinata, osservando che l'inadempimento del venditore si sarebbe verificato nel momento in cui egli ha alienato l'immobile a persone reperite e segnalate nello svolgimento dell'attività di mediazione . Il venditore obietta che la clausola de qua è inefficace in quanto vessatoria. La decisione si segnala in quanto, pur approdando ad un risultato nel complesso condivisibile, considera alla stregua di clausola penale il patto di invariabilità della provvigione e, anche a prescindere da tale non condivisibile qualificazione, si espone ad affermazioni ora imprecise ora concettualmente criticabili per quanto attiene, rispettivamente, alla disciplina di diritto comune della clausola penale e alla normativa delle clausole vessatorie (art. 33 ss. cod. cons.).

2. CLAUSOLA PENALE E PATTO DI INVARIABILITÀ DELLA PROVVIGIONE
Il giudice piemontese ritiene che si "è di fronte senza dubbio ad una clausola penale". Tale affermazione viene argomentata sul rilievo che la rubrica della clausola riporta la dizione "clausola penale" e che sua finalità sarebbe ora predeterminare "in caso di inadempimento di una parte l'importo del risarcimento spettante alla controparte non inadempiente, a prescindere dalla prova del danno", ora impedire che la provvigione possa "essere artatamente elusa mediante vendita conclusa dopo la scadenza del mandato con acquirente reperito dallo stesso Studio Immobiliare". A ben vedere, tuttavia, la qualificazione della clausola controversa alla stregua di clausola penale non può essere condivisa. In senso contrario depone sia l'esplicita previsione, contenuta nel contratto di mediazione e riportata nella motivazione, della determinazione della provvigione in misura fissa, indipendentemente dal prezzo di vendita dell'immobile, sia una interpretazione teleologica dell'asserita clausola penale. Sua finalità, infatti, contrariamente a quanto ritiene il giudice piemontese, non è prevenire l'elusione del pagamento della provvigione dovuta al mediatore in caso di vendita ad un acquirente da questi reperito. Se così fosse, la clausola, a rigore, sarebbe superflua, discendendo tale obbligazione direttamente dalla disciplina della mediazione (cfr. art. 1755, comma 1, c.c.). Finalità della clausola de qua è, piuttosto, impedire che in caso di stipulazione del contratto di vendita con un soggetto reperito dal mediatore la provvigione venga calcolata sul prezzo di vendita indicato nel contratto di compravendita che in genere per motivi fiscali è significativamente inferiore a quello reale, con conseguente riduzione della provvigione del mediatore.
Per convincersene è sufficiente chiedersi cosa sarebbe accaduto qualora il consumatore-venditore avesse ("spontaneamente") pagato la provvigione. In questo caso, in assenza della clausola controversa, è ragionevole ritenere che la provvigione pagata sarebbe stata pari al 5% del prezzo indicato nell'atto di compravendita, verosimilmente per le ragioni appena illustrate inferiore rispetto al prezzo realmente concordato. Per reclamare la provvigione realmente dovuta il mediatore avrebbe dovuto percorrere la difficile e impervia via della prova della simulazione del prezzo di vendita, dovendosi escludere l'operatività della (asserita) clausola penale in assenza di un inadempimento di controparte. Il giudice piemontese, pur avendo riscontrato "forti indizi [...] per ritenere che il prezzo indicato nell'atto notarile non fosse il vero prezzo poi pattuito per la vendita", non ha colto che proprio tale eventualità la clausola controversa si proponeva di disciplinare, affrancando il mediatore dal difficile onere di fornire la prova di un prezzo realmente pattuito maggiore rispetto a quello indicato nell'atto di vendita.
Un discorso a parte merita l'espressa qualificazione, ad opera dei contraenti, della clausola controversa alla stregua di "clausola penale". Essa non vale ad escludere che la clausola controversa configuri un patto di invariabilità della provvigione. Come è noto, nel qualificare una fattispecie negoziale il giudice deve dapprima individuare ed interpretare la comune volontà dei contraenti (cfr. art. 1362 c.c.) e, successivamente, inquadrare la fattispecie negoziale nello schema legale paradigmatico corrispondente agli elementi (in precedenza individuati) che ne caratterizzano l'esistenza giuridica. Corollario del rilievo primario riconosciuto al criterio ermeneutico di cui all'art. 1362 c.c. è che il nomen iuris usato dalle parti ("clausola penale") non assume rilievo decisivo qualora dalla considerazione complessiva del testo contrattuale (cfr. art. 1363 c.c.) (9) emerga, appunto, una "comune volontà" incompatibile con tali effetti negoziali.

3. DISCIPLINA DI DIRITTO COMUNE DELLA CLAUSOLA PENALE E CONTRATTI DEI CONSUMATORI
Il Tribunale di Ivrea distingue, sul piano della tutela del venditore, tra disciplina di diritto comune della clausola penale e normativa dei contratti dei consumatori, in particolare per quanto attiene alla previsione di cui all'art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons.. La distinzione operata, a ragione, dal giudice piemontese tra diritto comune e diritto dei consumatori merita di essere segnalata in considerazione dell'approccio per così dire "eclettico" che di frequente si rinviene in dottrina  e giurisprudenza. Come è noto, la previsione di cui all'art. 1384 c.c. e la norma di cui all'art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons. si distinguono per il diverso parametro di valutazione, il differente raggio operativo delle norme e la diversità dei rimedi prescritti. Precisamente, la norma di diritto speciale concerne la penale o altre pattuizioni analoghe  che siano ab initio manifestamente eccessive rispetto al valore della prestazione. Viceversa, l'art. 1384 c.c. disciplina la penale manifestamente eccessiva rispetto all'interesse del creditore, valutato al momento della conclusione del contratto, mentre il carattere manifestamente eccessivo della penale può rilevare tanto se originario che se sopravvenuto. Sul piano dei rimedi, la disciplina di diritto speciale prescrive la nullità della clausola, non subordinata all'art. 1419, comma 1, c.c. (ex art. 36, comma 1, cod. cons.), con conseguente ritorno alle regole ordinarie in materia di risarcimento del danno (per la penale), del venire meno del diritto alla ritenzione della somma e alla facoltà di recesso (per la caparra confirmatoria) ovvero con obbligo di restituzione delle prestazioni eseguite, salvo l'obbligo di un equo indennizzo (ex art. 1526, comma 1, c.c.). Di contro, nel caso della disciplina di diritto comune la clausole penale è valida, venendo il suo ammontare sottoposto al potere riduttivo esercitato equitativamente dal giudice.
Per quanto attiene al coordinamento tra disciplina di diritto comune e normativa di diritto speciale, si a ragione osservato che nei contratti dei consumatori il rimedio di cui all'art. 1384 c.c. "può integrare e completare la sanzione della nullità nelle ipotesi in cui il carattere manifestamente eccessivo dell'importo si palesi in via sopravvenuta con riguardo all'or...

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