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QUESITO N. 550: Pignoramento di immobile in comunione legale. In caso di pignoramento di una quota ideale del 50% di immobile intestato a coniugi in comproprietà, il coniuge non debitore può disporre della propria quota ideale?
Quesito n. 550: Pignoramento di immobile in comunione legale. In caso di pignoramento di una quota ideale del 50% di immobile intestato a coniugi in comproprietà, il coniuge non debitore può disporre della propria quota ideale?
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RISPOSTA
Attualmente il creditore del singolo partecipante alla comunione può pignorare la quota di comproprietà di un bene immobile che appartiene al suo debitore e ciò sebbene non tutti i comproprietari siano obbligati verso di lui.
L’immobile in comunione legale può essere oggetto di vendita forzata anche quando il debito è stato contratto da uno solo dei coniugi. Non si può vendere solo la quota indivisa, ma si deve liquidare l’intero immobile e poi restituire la metà del ricavato al coniuge non obbligato.
Nel caso di specie, pertanto il coniuge non interessato dal pignoramento, dovrà attendere il termine della procedura esecutiva, alla cui fine avrà diritto al 50% di quanto ricavato con la vendita.
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MOTIVI DI DIRITTO
Nel patrimonio del debitore possono rinvenirsi beni non di sua intera proprietà, ma in comproprietà con altri, sia perché così acquistati sin dall’origine, sia perché pervenuti in eredità con altri coeredi, sia perché così è previsto dalla legge, come nel caso del regime di comunione legale tra i coniugi. La comproprietà determina il formarsi in capo a ciascuno dei partecipanti alla comunione di un diritto di proprietà sull’intero bene esteso a tutte le utilità che il bene può dare, da fruirsi nei limiti in cui un identico diritto possa essere esercitato dagli altri partecipanti alla comunione.
Si parla, quindi, di una comunione corrispondente ad una quota ideale del potere che si può esercitare sul bene e che corrisponde alla percentuale da attribuirsi in caso di divisione.
Il rito dell’esecuzione è lo stesso dei beni di proprietà individuale e l’unica cautela che la legge prevede è il dovere di dare avviso agli altri comproprietari dell’avvenuto pignoramento della quota di comproprietà con l’intimazione, ai comproprietari stessi, di non consentire al debitore di separare la propria quota. L’art. 188 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile stabilisce poi che, con detto avviso, ovvero con altro separato atto, i comproprietari debbono essere invitati a comparire davanti al giudice dell’esecuzione.
Le caratteristiche principali della comunione per quote sono la possibilità di vendita, la possibilità di essere oggetto di espropriazione da parte del creditore del singolo partecipante alla comunione e la possibilità di chiedere la divisione del bene comune in qualsiasi momento.
Ciò che qui ci interessa, è l’espropriabilità della quota di comproprietà immobiliare del debitore e gli ostacoli ed i vantaggi per coloro che, a seguito di asta giudiziaria, se l’aggiudicano.
La quota ideale di partecipazione ad una comunione immobiliare è sicuramente espropriabile: tanto prevedono gli artt. 599 e seguenti del codice di procedura civile (c.p.c.) con ciò innovando quanto prevedeva il codice civile del 1885 che, all’art. 2077, tassativamente vietava di assoggettare ad esecuzione un bene quando non tutti i comproprietari fossero obbligati.
Il divieto di espropriare beni immobili in comproprietà è però rimasto con riferimento a quelli appartenenti ad una società: i beni sociali, finché dura la società ed anche se al socio spetta un diritto di quota sui medesimi, non possono essere pignorati dai creditori del singolo socio e neppure la quota di partecipazione alla società può essere espropriata nelle società di persone, quelle, cioè, in cui vi è una limitata autonomia patrimoniale della società. Solo nel caso di società di capitali (S.p.A., S.r.l., S.a.p.a.), l’espropriazione può avvenire sulle quote di partecipazione o sulle azioni, ma mai direttamente sui beni sociali. Tuttavia nelle cooperative neppure la quota o l’azione di partecipazione possono essere oggetto di pignoramento (art. 2531 c.c.).
Attualmente il creditore del singolo partecipante alla comunione può pignorare la quota di comproprietà di un bene immobile che appartiene al suo debitore e ciò sebbene non tutti i comproprietari siano obbligati verso di lui.
L’immobile in comunione legale può essere oggetto di vendita forzata anche quando il debito è stato contratto da uno solo dei coniugi. Non si può vendere solo la quota indivisa, ma si deve liquidare l’intero immobile e poi restituire la metà del ricavato al coniuge non obbligato.
È irrilevante che sia intervenuta una separazione dei beni dopo la trascrizione del pignoramento.
Lo ha sostenuto il Tribunale di Potenza (sentenza n. 662/13), facendo proprio il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Decidendo il caso di una donna che si è opposta alla vendita forzata di un immobile in comunione legale per debiti contratti dal solo marito, il giudice lucano ha spiegato che, a differenza di quanto accade nella comunione ordinaria, in presenza di una comunione legale tra coniugi può essere aggredito solo il singolo bene comune e non la “quota indivisa” di esso.
In altre parole, se il bene pignorato è ricadente in comunione legale, l’unica strada percorribile è la vendita dell’intero immobile. Ciò consente ai creditori di soddisfarsi sulla metà del somma ricavata, mentre il restante 50 per cento di essa dovrà essere restituito alla comunione legale ovvero all’altro coniuge (non debitore). La comunione legale, per effetto dell’espropriazione forzata, non si scioglie, ma si restringe con restituzione alla comunione dell’altra metà.
Le conclusioni del Tribunale di Potenza sono perfettamente aderenti all’insegnamento della Corte di Cassazione. Con la sentenza numero 6575, pubblicata lo scorso 14 marzo, la Terza Sezione Civile del Palazzaccio ha infatti chiarito che l'unica soluzione possibile in caso di pignoramento da parte di un creditore personale di uno dei due coniugi dell'immobile rientrante nel regime di comunione legale (ex artt. 177 e ss. C.c.) è quella di procedere alla vendita forzata del cespite e di attribuire al coniuge non obbligato la metà della somma ottenuta dalla medesima vendita.
È stato quindi enunciato il seguente principio di diritto: “la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggiato all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione” (Cass., sentenza n. 6575/13...

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