E6>E@>E@83ì3734p333a@a@X7j333@v4v4v4v4$)00 Rag. Mario Mantovani Commercialista Via Zoe Fontana 220 ed. B/2 Roma (Rm) 064130987 064191058 064131432- Fax 06/4131856- 346/2430249 -348/7680140 346/2430233 340/3701667 340/0581620 mariomanto@tiscali Oggetto: Relazione su effetti indiretti della L. 248/2006 sull’edilizia convenzionata ed agevolata. Analisi sulla trasferibilità degli immobili in edilizia convenzionata. oooooOooooo A. Premesse Le stringenti novità ed i nuovi adempimenti previsti dalla nuova normativa contenuta nella cd Legge Visco-Bersani (L. 248/2006) sulla tassazione degli immobili hanno di fatto paralizzato le compravendite di appartamenti costruiti in regime edilizia convenzionata, soprattutto sulle successive rivendita degli immobili da parte dei primi assegnatari. Si tratta di transazioni tra privati con cui la cooperativa (intesa costruttore in regime convenzionato e/o anche di acquisti diretti in regime di finanziamenti agevolati in conto capitale o interessi ) non ha più niente a che fare. In genere all’edilizia convenzionata il Comune riserva determinate zone del proprio territorio: la pianificazione urbanistiche prescrive la realizzazione di case destinate (in teoria) alle fasce di popolazione meno abbienti: un tempo si parlava di piani per l’edilizia economica e popolare (Peep), oggi invece si ragiona in termini di edilizia residenziale pubblica, ma la sostanza non cambia. Si tratta di zone dove, alla compravendita degli appartamenti, vengono applicati prezzi politici, ben al di sotto dei valori di mercato. Entrando nell’analisi degli effetti della L. 248/2006 bisogna preliminarmente riconoscere che fino all’estate scorsa (prima della Legge 248/2006) le operazioni di compravendita su questi immobili erano tollerate, sia da parte dell’Amministrazione Finanziaria che dietro la falsità dei valori catastali automatici (ex art. 52 Dpr 131/86) non ha mai compiuto atti di accertamento, sia dei Comuni che ugualmente non hanno mai effettuato verifiche e riscontri, né dalle banche che hanno sempre erogato mutui per importi superiori al prezzo convenzionato ed infine sia di tutti gli operatori del mercato immobiliare che hanno sempre chiuso entrambi gli occhi. Ora, però, il Dl 233/2006 imponendo alle parti contraenti nuovi adempimenti (soprattutto sulla tracciabilità dei pagamenti) rende necessario una modifica degli atteggiamenti fin’ora tenuti.. L’aggravio che con le nuove regole è previsto per l’occultazione del corrispettivo, determina l’applicazione dell’imposta di registro non al valore catastale rivalutato, ma al prezzo in effetti corrisposto, una sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta e una ulteriore sanzione del 50 al 100% della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato. Senza dimenticare che, per affetto dell’articolo 72 del Dpr 131/86, per l’occupazione del corrispettivo la legge commina la sanzione amministrativa dal 200 al 400% della differenza tra l’imposta dovuta e quella gia applicata in base al corrispettivo dichiarato. Sempre per effetto del Dl 223/06 (articolo 35, comma 22) come se tutto ciò gia non bastasse,è stato disposto ulteriormente che nel rogito notarile, i contraenti ora hanno l’obbligo di rendere una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo, con la conseguenza che: In caso di omessa, incompleta o mendace indicazione dei dati, si applica la sanzione amministrativa da 500 a 10mila euro; Si applica l’articolo 483 del codice penale secondo il quale << chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni >>. E ancora, se il corrispettivo occultato è pagato in contanti si viola la legge antiriciclaggio, che impedisce il trasferimento di denaro contante e di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera () quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a 12.500 euro . La conseguenza è che viene in tal caso applicata (articolo 5 legge 143/1991) la sanzione pecuniaria dall’1 al 40% dell’importo. Con un panorama di conseguenze così definito, la conseguenza inevitabile non può che essere l’assoluto blocco del mercato di queste abitazioni, situazione che non appare rimediabile se non con un intervento del legislatore, perché anche la fantasia dal più fine degli operatori pare non avere la possibilità di trovare soluzione e perché il problema in questione non può semplicisticamente esser risolto con l’affermazione che, d’ora in poi, nei Peep si deve vendere a prezzo convenzionato: infatti, c’è chi la comprato dall’impresa costruttrice a prezzo convenzionato, ma c’è anche chi ha comprato a prezzo di mercato da un precedente compratore. Se imporre ai primi (che sapevano di effettuare un acquisto agevolato a condizione di doversi assoggettare a un prezzo di vendita calmierato) la vendita a prezzo convenzionato non è certo un’angheria, ma la pretesa del rispetto della legge, nell’altra ipotesi c’è da gestire il caso di chi ha comprato a un prezzo di mercato e ora dovrebbe vendere a prezzo convenzionato e, perciò, potrebbe decidere di chiamare in giudizio il suo venditore, per la restituzione di quanto pagato in più. Ci sarebbe spazio per una sanatoria, magari con una soluzione simile a quella dello scudo fiscale (all’epoca percentuale sul rimpatrio per lo scudo fiscale ora percentuale sull’emersione del valore per l’edilizia convenzionata) offrendo cioè la possibilità di pagare una penale per poter affrancare l’abitazione del regime Peep e poterla vendere a valori correnti. Tra l’altro non è semplice stabilire e ricostruire le dimensioni numeriche dell’edilizia convenzionata, che sfuggono anche al ministero delle infrastrutture; possono essere indicativi, però, i dati forniti dalle cooperative, che costruiscono il 60% di questi immobili (il resto delle convenzioni è siglato dai Comuni con imprese edili), e li assegnano ai soci-acquirenti a un costo inferiore a quello di mercato di almeno il 20% (in alcuni casi si arriva a prezzi ridotti del 40 per cento). OoooOooo B.Analisi della trasferibilità di beni in regime di edilizia residenziale pubblica 1. HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003282*" Nozione di edilizia residenziale pubblica 2. HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003283*" T.U. n. 1165/1938 e D.P.R. n. 2/1958: dalla assegnazione in locazione degli alloggi, alla loro cessione in proprietà 3. HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003284*" Determinazione del prezzo 4. HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003285*" Legge n. 865/1971: limitazioni alla cessione in proprietà 5. HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003286*" Legge n. 513/1977: inalienabilità degli alloggi di edilizia economica e popolare 6. HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003287*" Legge n. 179/1992: favore per la cessione in proprietà 7. HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003288*" Giurisdizione B.1. Nozione di edilizia residenziale pubblica HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003289*" Nel concetto di edilizia residenziale pubblica rientra una molteplicità di iniziative, la cui finalità consiste nel rendere accessibile l'acquisizione del bene casa a una larga fascia di persone, in possesso dei requisiti soggettivi e reddituali dalle leggi in materia precisati, ad un prezzo inferiore a quello praticato sul libero mercato. Talvolta, il servizio pubblico in cui la edilizia residenziale considerata consiste, è perseguito direttamente da enti pubblici o da altri operatori a questi assimilati, in varie forme, tra cui la concessione di mutui agevolati, di contributi a fondo perso. In tal caso, si parla di edilizia residenziale pubblica in senso stretto, che si realizza essenzialmente col sistema della edilizia sovvenzionata. In altre ipotesi, che possono definirsi di edilizia residenziale pubblica in senso lato, l'attività edilizia è svolta da privati col concorso della mano pubblica, che si manifesta sia nell'abbattimento dei costi di costruzione (edilizia agevolata) sia nella imposizione di criteri costruttivi particolari nella edificazione su suoli sottratti ai privati con procedura di esproprio, sulla base di convenzioni (edilizia convenzionata). La preferenza mostrata dalle leggi che nel tempo si sono susseguite a regolare la materia è quella accordata alla assegnazione degli alloggi in regime di locazione, sistema giudicato più consono a soddisfare la finalità sociale del servizio di edilizia pubblica, in quanto il bene casa viene in tal modo mantenuto nell'ambito della proprietà pubblica. Va tuttavia osservato, che non sono mancate leggi, le quali hanno consentito ed anche favorito l'acquisizione degli alloggi in proprietà da parte degli assegnatari, sia per la necessità di reperire fondi da destinare alla costruzione di altri alloggi, sia per consentire agli enti proprietari di sottrarsi alle ingenti spese di manutenzione relative ad edifici il cui stato di manutenzione, per età ed incuria, tendeva ormai a degradarsi. B.2. T.U. n. 116/1938 e D.P.R. n. 2/1959: dalla assegnazione in locazione degli alloggi, alla loro cessione in proprietà HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003290*" Così, secondo il fondamentale HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003291" R.D. 28 aprile 1938, n. 1165 (il Testo Unico delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica), accanto al sistema della locazione semplice, era previsto che il Ministero per i lavori pubblici autorizzasse i comuni o gli Istituti Case popolari e vendere o ad assegnare in locazione con patto di futura vendita all'inquilino o suoi eredi gli stabili in qualunque tempo costruiti, prescrivendo volta per volta le cautele e le condizioni da inserire nei contratti ( HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003292" art. 34 R.D. 28 aprile 1938 n. 1165 ); gli stessi enti potevano ottenere il concorso dello stato per la costruzione di immobili popolari da vendersi ai singoli privati ovvero da assegnarsi in locazione con patto di futura vendita, a favore dello stesso inquilino o suoi eredi, in deroga alle disposizioni della allora vigente legislazione e delle norme statutarie ( HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003293" art. 38 R.D. 28 aprile 1938 n. 1165 ). Ai sensi dell'art. 42, il trasferimento della proprietà degli alloggi costruiti col concorso dello Stato concessi agli assegnatari con patto di futura vendita si doveva effettuare con contratto di compravendita da stipularsi allo scadere della locazione la cui durata non poteva eccedere i 25 anni. Il successivo HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003294" D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 , dettato per agevolare proprio l'acquisto in proprietà degli alloggi di tipo economico e popolare di cui all'art. 1, stesso decreto, disciplinava in maniera compiuta la materia della cessione in proprietà degli alloggi in tal genere, riservandone solo una parte alla proprietà pubblica; il D.P.R. citato fu poi modificato dalla legge 27 aprile 1962, n. 231, la quale consentì l'acquisto in proprietà a tutti gli assegnatari di alloggio popolare che lo occupavano. Per quanto riguarda il diritto degli eredi dell'assegnatario alla cessione della proprietà ex D.P.R. 1959, n. 2, la giurisprudenza osserva che esso non sorge iure ereditatis, in quanto la legge riconosce un diritto proprio all'assegnazione in favore dei componenti del nucleo familiare che convivono con l'assegnatario (Pret. Viareggio, 9 maggio 1991, n. 217). Si è anche affermato che, mentre è nulla la cessione di alloggio IACP da parte dell'assegnatario con patto di riscatto senza l'osservanza delle norme del D.P.R. 9 aprile 1956, n. 1265, è invece valido il contratto preliminare di vendita dell'alloggio il quale, pur se effettuato in pendenza del termine di assegnazione, richiede l'ulteriore manifestazione di volontà negoziale dopo l'acquisto della proprietà per produrre gli effetti traslativi, qualora il giudice di merito abbia ritenuto detta manifestazione destinata ad opere in un tempo successivo (Cass., 13 marzo 1982, n. 1654; Cass., 28 novembre 1998, n. 12113). Per contro, allorché nel preliminare sia prevista una clausola per la quale il vincolo negoziale diventi inefficace qualora risulti preclusa la trasferibilità del bene alla stregua della normativa vigente, la validità ed operatività del patto devono essere escluse qualora il giudice del merito interpreti il patto nel senso che il rapporto si caduchi immediatamente per effetto della esistenza di un divieto attuale di trasferimento contenuto nella normativa al momento vigente (Cass., 26 giugno 1981, n. 4156). Nel vigore delle leggi n. 1165/1938 e n. 408/1949, mentre si conferma la nullità del contratto di vendita da parte dell'assegnatario a terzi in difetto dei presupposti legali, si riconosce peraltro la validità del patto che abbia per oggetto l'assunzione da parte dell'assegnatario dell'obbligo di svolgere le attività necessarie all'acquisto della proprietà dell'alloggio nonché l'obbligo di concludere il contratto di vendita dopo la verificazione dei detti presupposti necessari alla estinzione dei vincoli di alienabilità. Tale contratto non è infatti concluso in frode della legge né per altro verso illecito, in quanto non realizza indirettamente il trasferimento della proprietà né contrasta con norme imperative (Cass., 19 settembre 1978, n. 4194), nel senso che il diritto del promissario di chiedere la esecuzione specifica del contratto preliminare nasce solo dalla decorrenza del termine di divieto decennale (Cass., 4 febbraio 1988, n. 1091; Cass., 9 febbraio 1987, n. 1334; Cass., 24 settembre 1986, n. 5746; Cass., 17 febbraio 1986, n. 940). Sino a che l'alloggio non sia ceduto in proprietà all'assegnatario nelle forme prescritte per i trasferimenti immobiliari, può essere disposta la revoca della assegnazione di alloggio economico e popolare allorché l'abbandono dell'alloggio sia anteriore, alla domanda presentata per ottenere la cessione in proprietà senza che possa tener luogo del consenso dell'istituto il versamento del prezzo di cessione dall'istituto stesso determinato da parte dell'assegnatario e la sua accettazione da parte del tesoriere dell'ente (Cass., 13 luglio 1988, n. 4590; Cass., 24 luglio 1993, n. 8312; Cass., 10 settembre 1993, n. 9468; Cass., 24 luglio 1997, n. 6923; per quanto riguarda gli alloggi ex Incis assegnati con patto di futura vendita in base alla legge 460/1963, la proprietà passa al cessionario solo col pagamento dell'ultima rata di prezzo, rimanendo l'ente sino a tale momento tenuto a garantire al cessionario una adeguata manutenzione del bene, Trib. Napoli, 18 novembre 1995). Sino alla stipula del contratto di compravendita, l'assegnatario è titolare di un rapporto di locazione, ed è tenuto a pagare il canone, né gli è consentito di ritenere i canoni qualora l'ente ritardi nella stipulazione dell'atto di trasferimento (Cass., 19 aprile 1996, n. 3735). Nel caso di cooperativa edilizia a contributo statale, il momento rilevante ai fini dell'acquisto della proprietà dell'immobile è quello della stipulazione del contratto di mutuo individuale (Cass., 23 agosto 1996, n. 7807). Se la compravendita immobiliare è sottoposta alla condizione del pagamento del prezzo, ricorre la figura della compravendita con riserva della proprietà e il trasferimento del diritto si realizza col pagamento dell'ultima rata del prezzo: in tale momento si verifica l'assegnazione in proprietà di alloggio di edilizia economica e popolare e da tale momento decorre il divieto di alienazione(Cass., 8 aprile 1999, n. 3415). In tema di edilizia residenziale pubblica, deve ritenersi che anche dopo le ultime modifiche legislative, sussista l'obbligo dell'assegnatario di occupare stabilmente l'alloggio con divieto di cederlo a terzi o sublocarlo e conseguentemente l'ente può revocare l'assegnazione in caso di violazione di detti divieti (Trib. Genova, 11 marzo 1996). L'acquirente di un alloggio popolare in forza di contratto di vendita con riserva di proprietà non può essere considerato mero assegnatario del bene e pertanto non può essere qualificato come di sublocazione il contratto di locazione da lui stipulato con un terzo; il decreto di revoca dell'assegnazione emesso dal sindaco motivato sul presupposto che l'alloggio sia stato sublocato è illegittimo (Cass., 12 novembre 1998, n. 11433). L'obbligo di occupare l'alloggio sussiste anche da parte degli eredi dell'assegnatario con patto di futura vendita (Cass., 14 aprile 1989, n. 1795). L'assegnatario è soggetto alla sanzione della revoca dell'assegnazione in caso di inosservanza del divieto di locazione o sublocazione dell'immobile, detto divieto può trovare deroga nel caso di assegnatario con patto di futura vendita solo in base ad esplicita autorizzazione dell'ente assegnante (Cass., 11 marzo 1986, n. 1646). Nel caso di assegnazione di alloggi IACP con patto di futura vendita, qualora l'assegnatario muoia nel corso del pagamento rateale, trova applicazione l'art. 17 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, in forza del quale succedono nei diritti dell'assegnatario gli eredi anche se non conviventi con l'assegnatario al momento del suo decesso, senza che il criterio della convivenza possa essere addotto per operare distinzioni tra gli eredi medesimi (Cass., 16 luglio 1993, n. 7902; Cass., 24 luglio 1995, n. 8073). In base alla normativa di cui alla legge 8 agosto 1977, n. 513, peraltro, qualora l'assegnatario sia deceduto dopo l'accettazione da parte dell'ente della istanza di cessione e il versamento del prezzo, ma prima della stipula del contratto di compravendita, l'erede universale non acquista iure successionis il diritto alla cessione, posto che è richiesta la sussistenza dei requisiti di legge, nonché sono necessari la convivenza ed uno specifico rapporto di coniugio o parentelare con il defunto (Cass., 14 marzo 1995, n. 2915). In vigore della disciplina di cui al D.P.R. n.2, del 1959, nella causa avente per oggetto l'accertamento del diritto al trasferimeto della proprietà dell'alloggio, unico legittimato passivo è lo IACP in quanto titolare del bene oggetto della cessione e non il Comune (Cass., 15 ottobre 1999, n. 11622). Ai comuni compete l'adozione dei provvedimenti di annullamento, decadenza o revoca dell'assegnazione e pertanto il Comune è il solo legittimato passivo a resistere alla domanda con cui l'assegnatario si opponga a tali provvedimenti, riconoscendosi invece agli Istituti autonomi la facoltà di spiegare intervento adesivo dipendente (Cass. 6 aprile 1991, n. 3606).La sentenza emanata nel giudizio tra assegnatario e Comune relativo alla opposizione al provvedimento di revoca dall'assegnazione, svolge efficacia riflessa di giudicato nella causa di accertamento del trasferimento di proprietà dell'alloggio intentata dall'assegnatario contro l'Istituto (Cass. 15 ottobre 1999, n. 11622). B.3. Determinazione del prezzo HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003295*" Particolari criteri erano previsti per la determinazione del prezzo. Alla legge n. 231/1962 venne data efficacia retroattiva. L' HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003296" art. 16 del D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 , modificato dalla legge n. 231, introdusse peraltro dei vincoli di inalienabilità per coloro che avevano pagato il prezzo in unica soluzione, ai quali erano fatto divieto di alienare a qualsiasi titolo anche parzialmente l'alloggio acquistato (Trib. Spoleto, 24 giugno 1982, in Arch. civ., 1982, 1143; Cass., 14 giugno 1979, n. 3344) vincolo non applicabile a chi avesse acquistato l'alloggio con pagamento rateale uguale o superiore agli anni 15 (Cass., 26 maggio 1993, n. 5912). Il comma 3 sanciva la nullità "di pieno diritto" per i contratti stipulati in violazione del divieto. B.4. Legge n. 865/1971: limitazioni alla cessione in proprietà La HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003298" legge 22 ottobre 1971, n. 865 , come è stato osservato, segna "una macroscopica inversione di tendenza del legislatore in materia di cessione in proprietà degli alloggi di edilizia residenziale pubblica". Infatti, tale legge prevede ( HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003299" art. 35 l. n. 865/71 ) che le aree comprese nei piani approvati a norma della HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003300" legge 18 aprile 1962, n. 167 , ed oggetto di esproprio da parte dei comuni o dei loro consorzi, entrano a far parte del patrimonio indisponibile di tali enti i quali concedono il diritto di superficie sulle aree medesime per la costruzione di case di tipo economico e popolare e dei relativi servizi urbani e sociali. La concessione del diritto di superficie ha durata non inferiore ad anni 60 e non superiore ad anni 99. Nella disciplina dettata da questa legge, il regime superficiario appare preferito a quello della cessione in proprietà, benché una parte delle aree possa ancora essere ceduta in proprietà a cooperative edilizie o a privati. Il successivo art. 61 l. n. 865/71 dispone che gli alloggi realizzati nell'ambito dei programmi previsti dalla legge stessa siano assegnati in locazione e per una parte minima cedute a riscatto. La cessione in proprietà risulta circondata da rilevanti vincoli, previsti dal citato articolo 35 ai commi da 15 a 19 (Cass., 19 novembre 1987, n. 8507). I singoli o soci delle cooperative interessati alla cessione in proprietà devono avere i requisiti previsti dalle norme allora in vigore per l'assegnazione di alloggi economici e popolari. Viene sancita la nullità del preliminare di vendita di alloggio costruito in area compresa nei piani di zona ex legge 167 ove il promittente acquirente sia privo dei requisiti reddituali per l'assegnazione degli alloggi in regime Erp (Cass., 20 luglio 1999, n. 7768). L'alloggio costruito su area ceduta in proprietà non può essere alienato per nessun titolo, né su di esso può costituirsi alcun diritto reale di godimento per un periodo di tempo di 10 anni dalla data del rilascio della licenza di abitabilità. Decorso tale periodo, l'alienazione o la costituzione di diritti reali di godimento può avvenire esclusivamente a favore di soggetti aventi i requisiti per l'assegnazione di alloggi economici e popolari, al prezzo fissato dall'ufficio tecnico erariale, tenendosi conto dello stato di conservazione della costruzione, del valore dell'area su cui essa insiste, determinati ai sensi del precedente art. 16 e prescindendo dalla localizzazione degli immobili nonché dal costo delle opere di urbanizzazione poste a carico del proprietario. Dopo 20 anni dal rilascio della licenza di abitabilità, il proprietario dell'alloggio può trasferire la proprietà a chiunque o costituire su di esso diritto reale di godimento, determinandosi il valore dell'area da corrispondere agli enti ricordati sulla base della differenza tra il valore di mercato dell'area al momento della alienazione e il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto. Gli atti compiuti in violazione delle disposizioni ora ricordate sono nulli. Detta nullità può essere fatta valere dal Comune o da chiunque altro vi abbia interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. La cessione in proprietà di lotti di terreno ex art. 35, legge n. 865/1971 appare pertanto compiutamente disciplinata dal legislatore; è illegittima la introduzione da parte del Consiglio comunale di ulteriori limitazioni al diritto di proprietà in tale materia (Cons. Stato Sez. IV, 10 gennaio 1990, n. 9). B.5. Legge n. 513/1977: inalienabilità degli alloggi di edilizia economica e popolare La HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003303" legge 8 agosto 1977, n. 513 , conferma e rafforza la tendenza della legge n. 865, sancendo la inalienabilità degli alloggi di edilizia economica e popolare per il futuro. In forza dell'art. 27 sono infatti abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore della legge stessa, le disposizioni di cui al HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003304" D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 e alla legge 14 febbraio 1963, n. 60 e successive modificazioni e integrazioni nonché quelle contenute in altre leggi che comunque disciplinano il trasferimento in proprietà degli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica già assegnatari di alloggi in locazione semplice. Il comma due del citato art. 27 ha posto notevoli difficoltà interpretative in relazione al successivo art. 28. Trattasi di norma transitoria, per la quale le domande di cessione in proprietà presentate sotto l'impero delle precedenti leggi più permissive per le quali non sia stato stipulato il contratto di cessione in proprietà devono essere confermate a cura degli assegnatari nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l'ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di cessione qualora non previsto dalla legge (ipotesi che riguarda esclusivamente l'avvenuta stipulazione del contratto prima della entrata in vigore della legge n. 513/1977, e non quella relativa alla domanda non seguita dalla stipulazione prima della entrata in vigore della legge stessa (Tar Emilia Romagna, Parma, 3 maggio 1988; Tar Lombardia, Milano, 14 marzo 1988, n. 149). Alle domande confermate si applicano le norme stabilite dal successivo art. 28, il quale prevede un sensibile peggioramento nelle condizioni di vendita, determinazione del prezzo compreso, agli assegnatari, causando un notevole contenzioso. Secondo i commi 5, 6, il trasferimento di proprietà ha luogo all'atto della stipula del contratto, mentre in pendenza della valutazione definitiva da parte dell'UTE per i singoli alloggi, l'Istituto Case Popolari è autorizzato a stipulare un contratto preliminare di vendita sulla base di un prezzo provvisorio. L'assegnatario che ha maturato il diritto alla cessione della proprietà ma non è ancora proprietario, ha l'obbligo, finché permane in tale posizione, di ottemperare al divieto di abbandonare l'alloggio prescritto dall'art. 17, primo comma, lett. b) HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003305" D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 (Pret. Ascoli Piceno, 28 maggio 1992, n. 89). L'avvenuta conclusione del contratto così come precisato dall'art. 27, comma 2, consolida definitivamente il diritto dell'assegnatario alla cessione in proprietà secondo i criteri più favorevoli vigenti in epoca precedente alla legge n. 513, e ciò vale anche per le domande di riscatto accettate e il prezzo comunicato all'assegnatario anteriormente alla entrata in vigore della stessa legge (Cass., 8 agosto 1990, n. 8007). Inoltre, è fatto divieto per gli acquirenti di alienare l'alloggio acquistato per un periodo di 10 anni dalla data di stipulazione del contratto e comunque fino a quando non ne sia pagato l'intero prezzo. Nel caso di cooperative edilizie a contributo statale, il termine inizia a decorrere dalla data di assegnazione e consegna dell'alloggio al socio prenotatario, e non dalla data dell'atto notarile di assegnazione definitiva in proprietà (Cass., 1 settembre 1993, n. 9236; Cass., 4 settembre 1999, n. 9395). Nel seguito, potrà alienare l'alloggio, ma dovrà darne comunicazione all'Istituto Autonomo delle case popolari, il quale entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione può esercitare il diritto di prelazione all'acquisto per un prezzo pari a quello di cessione rivalutato sulla base della variazione accertata dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Il divieto non riguarda gli alloggi assegnati a riscatto, con patto di futura vendita, nel qual caso l'assegnatario, acquistatane la proprietà formale dopo il pagamento dell'ultima rata del prezzo, ne può liberamente disporre(Cass., 18 luglio 1998, n. 7055). Si ribadisce che ogni pattuizione stipulata in violazione delle disposizioni della legge è nulla. La nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile di ufficio dal giudice. Non viola il divieto di alienazione sancito dalla norma, il contratto di vendita dell'immobile che, anticipando ogni altro effetto giuridico, differisca alla scadenza del termine previsto dalla norma il trasferimento della proprietà, a meno che non sia in concreto provata la simulazione fraudolenta di questo patto (Cass., 28 ottobre 1993, n. 10716; App. Napoli, 20 maggio 1999). Il divieto di alienazione non è violato nemmeno dal preliminare di vendita con anticipato trasferimento del possesso dell'alloggio, avendo esso solo effetti obbligatori (Cass., 30 marzo 1995, n. 3799; Cass., 8 agosto 1996, n. 7284). Il Comune non ha facoltà di introdurre deroghe al divieto di alienazione (Cass., 2 settembre 1995, n. 9266). Fino a quando con la stipula del contratto, non si perfezioni il trasferimento della proprietà, l'assegnatario di alloggio con patto di futura vendita non può cedere in sublocazione l'alloggio stesso a terzi (Cass., 3 agosto 1994, n. 7211). In tema di edilizia economica e popolare, le norme del procedimento amministrativo che individuano il soggetto a favore del quale deve avvenire l'assegnazione in proprietà dell'alloggio, essendo preordinate a soddisfare l'interesse pubblico di graduare il bisogno abitativo fra più aspiranti all'assegnazione, hanno natura imperativa. Sono nulli i contratti di futura vendita e di cessione definitiva in proprietà stipulati dalla Gescal sulla base di un illegittimo provvedimento di designazione delle persone dell'acquirente successivamente annullato in sede amministrativa (Cass., 17 giugno 1985, n. 3642). B.6. Legge n. 179/1992: favore per la cessione in proprietà Infine, insieme ad un rinnovato favore per la cessione in proprietà degli alloggi, profonde modifiche sono state attuate dalla HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003307" legge 17 febbraio 1992, n. 179 . L' HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003308" art. 20 di tale legge (n. 179/92) stabilisce, che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, gli alloggi di edilizia agevolata possono essere alienati o locati, previa autorizzazione della regione, quando sussistano gravi e sopravvenuti motivi e comunque quando siano decorsi cinque anni dall'assegnazione dall'acquisto. Tutte le limitazioni previste dalla HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003309" legge 22 ottobre 1971, n. 865, all'art. 35 , dal comma 15 compreso al comma 19 compreso, sono state abolite, abolizione che si è resa opportuna, perché pur essendo i limiti inapplicabili per gli alloggi costruiti su aree in regime superficiario, vincoli analoghi venivano poi imposti dalle convenzioni comunali. Allo stato pertanto gli immobili su aree concesse in proprietà e quelli su aree concesse in superficie godono dello stesso trattamento. B.7. Giurisdizione Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia che insorga tra il costruttore-venditore e l'acquirente del singolo appartamento circa la determinazione del prezzo del bene trasferito, perché investe il rapporto contrattuale tra privati e non anche il rapporto pubblicistico tra l'ente territoriale e il cessionario di dette aree (Cass. Sez. unite, 22 dicembre 1987, n. 9565). In tema di edilizia economica e popolare la natura privatistica del rapporto di locazione con o senza patto di futura vendita a mezzo del quale viene attuato il provvedimento di assegnazione dell'alloggio comporta che il rapporto stesso resti soggetto alla normale disciplina della risoluzione contrattuale per le cause previste dal Codice civile o espressamente previste dai contraenti, con la conseguenza che, verificatasi una di dette cause, ancorché rilevante pure nell'ambito del rapporto pubblicistico di assegnazione come ragione di revoca di essa, deve riconoscersi la facoltà dell'ente concedente di agire davanti al giudice ordinario al fine di conseguire la risoluzione del contratto di locazione secondo la comune disciplina negoziale (Cass. 4 febbraio 1986, n. 685). La pretesa cessione in proprietà che l'assegnatario e locatario di alloggio abbia proposto a norma e nel vigore del HYPERLINK "http://cldb/a?Stringa=TX0003311" D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 , e della legge 14 febbraio 1963, n. 60, trova fondamento in un rapporto di natura contrattuale sottratto alla discrezionalità amministrativa e si ricollega pertanto ad una posizione di diritto soggettivo come tale azionabile davanti al giudice ordinario (Cass., 8 ottobre 1985, n. 4860) in tema di obbligo contrattuale dell'amministrazione venditrice di consegnare beni pertinenziali spetta all'autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle relative controversie (Cass., 19 luglio 1985, n. 4266; Cass., 20 ottobre 1983, n. 6149). Il giudice amministrativo ha giurisdizione in ordine alle controversie relative alla vendita da parte dello IACP di un locale adibito ad uso non abitativo (Cons. stato Sez. IV, 14 ottobre 1992, n. 878, in Cons. Stato 1992, 10, 1254), alla istanza di assegnazione in sanatoria (Trib. Milano, 6 dicembre 1993, n. 11793, in Giust. milanese, 1994, 2), ai provvedimenti di revoca o annullamento delle assegnazioni (Cons. Stato, 5 settembre 1995, n. 28), ai provvedimenti incidenti sul rapporto concessorio di alloggi di edilizia popolare ed economica (Pret. Milano, 12 marzo 1996). Con riguardo alle cooperative operanti nel settore della edilizia economica e popolare, la giurisdizione del giudice amministrativo in sede di impugnazione delle decisioni della Commissione di vigilanza viene a meno in favore del giudice ordinario dopo la stipulazione da parte dell'assegnatario del contratto di mutuo individuale (Cass. Sez. Unite, 9 luglio 1992, n. 8390). Sussiste la giurisdizione ordinaria per le controversie relative al diritto di riscatto dell'immobile occupato, a seguito del rifiuto dello IACP di addivenire all'atto di trasferimento (Trib. Napoli, 8 aprile 1995), alla opposizione alla esecuzione del provvedimento di rilascio emesso dallo IACP a causa della supposta occupazione sine titulo dello stesso (Pret. Bologna, 23 settembre 1995), alla decadenza della assegnazione motivata da supposto abbandono dell'alloggio da parte dell'assegnatario (Cass., 27 novembre 1995, n. 12242; Cass., 24 luglio 1997, n. 6923). In linea con la giurisprudenza in tema di assegnazione dell'alloggio in fase di separazione personale tra coniugi, si è affermato, che non costituisce abitazione coniugale e quindi non ne va disposta l'assegnazione in favore del genitore affidatario dei figli, l'alloggio di edilizia economica e popolare assegnato alla famiglia dopo la dissoluzione della stessa (Trib. Napoli, 15 ottobre 1999). C. Sintesi dell’edilizia convenzionata. C.1 La procedura L’intervento delle imprese di costruzione o delle cooperative in questi ambiti è preceduto dalla stipula di una convenzione con il Comune (di qui l’espressione edilizia convenzionata), dove si stabiliscono, tra l’altro, le caratteristiche dell’intervento, la tipologia degli edifici e i requisiti. Si indicano anche le caratteristiche che gli acquirenti devono avere (come le soglie di reddito). Infatti si fissano i parametri per decidere i prezzi di vendita. C.2 Prime vendite e successive Di solito, le convenzioni non stabiliscono soli i prezzi delle prime vendite (dal costruttore dell’acquirente), ma anche i criteri per i prezzi delle vendite successive, al fine di evitare speculazioni e impedire che, comprato un appartamento per un prezzo politico, lo si rivenda a valori di mercato. C.3 La Rivalutazione Di norma la convenzione prevede che, posto un dato prezzo di vendita dal costruttore al primo acquirente, questi dovrà a sua volta vendere aggiornando il prezzo secondo precisi indici di rivalutazione (ad esempio, gli indici Istat del costo della vita), senza altre maggiorazioni. Ma se nella prima vendita, il prezzo imposto dalla convenzione è in genere rispettato (e quindi la questione dei pagamenti in nero resta limitata a una casistica di confine) nelle successive vendite l’appartamento di un Peep è considerato sul mercato come un normale appartamento di edilizia libera e viene sempre scambiato per un prezzo analogo a quello di qualsiasi altro appartamento. C.4 Conclusione Si tratta di un comportamento grave: l’esistenza di un netto divario tra il prezzo dichiarato nel rogito e quello pattuito, non solo ha ripercussioni fiscali, ma mette in dubbio la validità della clausola contrattuale relativa al prezzo del contratto stesso. Infatti, la clausola contrattuale contenete la pattuizione di n prezzo superiore a quello convenzionato è probabilmente invalida, perché nulla per violazione di norma imperativa. La pattuizione illecita dovrebbe allora intendersi sostituita d’autorità dal prezzo calcolato secondo i criteri dettati dalla convenzione. Di conseguenza, l’acquirente potrebbe pretendere di pagare soltanto il prezzo convenzionato e non quello pattuito (oppure,se già pagato, potrebbe prendere la restituzione di quanto versato in eccesso rispetto al prezzo convenzionato). Roma, 27 Novembre 2006 Mario Rag. Mantovani Appendice; C.M. Consiglio Nazionale del Notariato 09-03-1992 Riflessioni sul contenuto della legge 17 febbraio 1992, n. 179 La legge 17 febbraio 1992, n. 179, intitolata "Norme per l'edilizia residenziale pubblica", pubblicata sulla G.U. del 29 febbraio 1992 (Supplemento n. 45), è entrata in vigore, dopo l'ordinaria vacatio legis, il 15 marzo 1992. Trattasi di una legge che, nata per continuare il piano decennale di realizzazione dell'edilizia abitativa pubblica, iniziato con la legge 5 agosto 1978, n. 457, ha finito per ripetere, di quest'ultima legge, la riconosciuta funzione di "legge-calderone". E' infatti, la nuova, una legge composita, nata dalla sintesi di molteplici progetti di legge e caratterizzata da una pluralità di aspetti che hanno poca relazione tra loro. Conviene passare in rassegna ognuno di questi aspetti, tentando di coglierne i punti di più immediato interesse per il notariato e cercando, altresì, di attribuire concatenazione logica ad un testo che, a prima lettura, appare di difficile comprensione. I - Edilizia agevolata (procedure) La legge si autodefinisce come legge provvisoria, in attesa di una nuova disciplina dell'intervento pubblico nel settore dell'edilizia residenziale (art. 1) e con questo obiettivo si preoccupa di rinforzare le disponibilità finanziarie per realizzare costruzioni edilizie e di semplificare enormemente le procedure applicative in vigore. Su tale aspetto viene in parte accantonato il ruolo del CER e dato più vigore alla competenza del CIPE, contemporaneamente ad una più efficace azione da parte del Ministero dei lavori pubblici. Le competenze regionali nell'erogazione finale dei finanziamenti, sulla base di programmi realizzativi concreti, vengono mantenute (a fronte di un tentativo del Ministro dei lavori pubblici di accentrare su di sè compiti maggiori, tentativo peraltro disatteso dal Parlamento). Tutta la prima parte della nuova legge si concentra nel dare più spigliata consistenza alle procedure di finanziamento previste dalla legge n. 457 del 1978, che viene mantenuta in vigore nella sostanza, con modificazioni attinenti al contributo dello Stato, previsto anche in assenza di mutui fondiari ed edilizi (art. 6, comma 3). L'entità del contributo, prima stabilita con legge, viene determinata ed aggiornata dal CER in funzione del reddito dei beneficiari e della destinazione degli interventi ammessi. Viene in tutto il resto confermata la disciplina della legge n. 457, con attinenza ai beneficiari del contributo (cooperative edilizie, imprese di costruzione, privati che intendano costruire o recuperare la propria abitazione, enti pubblici per alloggi da assegnare in proprietà, IACP e Comuni per alloggi da assegnare in locazione) ed al tipo di realizzazione (nuove costruzioni o interventi di recupero). Quanto ai requisiti soggettivi per godere del contributo dello Stato, la norma, abbastanza sibillina, contenuta nell'art. 7 cpv. della legge n. 179 va letta nel senso: a) che essa trovi riferimento soltanto per il privato che sia assegnatario di cooperativa o proceda all'acquisto di abitazione o provveda ad un'operazione di restauro; b) che ad esso privato si applichino le disposizioni in vigore alla data del 15 marzo 1992; c) che esse disposizioni trovino applicazione dalla data dell'assegnazione, o dell'acquisto, o della concessione del contributo. In definitiva, date le caratteristiche dell'edilizia agevolata, la norma appare riferirsi esclusivamente ai limiti di reddito tracciati dall'art. 20 della legge n. 457/1978. II - Alloggi destinati alla locazione La legge, facendo propri i suggerimenti di qualche progetto di legge, ha disciplinato in un capo a sè stante gli alloggi destinati alla locazione, o concessi in godimento da parte di cooperative a proprietà indivisa. Traspare, dagli artt. 8-10 che si occupano del problema, l'intento di favorire la costruzione di alloggi per assolvere all'esigenza di incrementare il patrimonio abitativo destinato alla locazione. Il contributo dello Stato è previsto per la realizzazione di alloggi nuovi o per il recupero del patrimonio abitativo esistente, ma la costruzione: a) deve essere destinata alla locazione; b) deve essere per uso abitativo primario, formula abbastanza generica, il cui intento è evidentemente quello di escludere la seconda casa. Già questo primo nucleo di norme pone dei problemi. E' abbastanza incerto ritenere che anche le imprese di costruzione, il cui scopo è quello di rivendere subito gli alloggi costruiti, debbano destinare gli alloggi alla locazione. Tornano certamente applicabili gli artt. 46 e 46 bis della legge n. 457/1978 che aprono alle imprese di costruzione la possibilità di rivendita immediata degli alloggi anche in deroga ai divieti già previsti dall'art. 35 della legge n. 865/1971 (norma ormai espressamente abrogata, come appresso si vedrà). Anche il concetto di "uso abitativo primario" è di incerto contenuto, salvo che non lo si correli ai benefici fiscali "prima casa" e lo si interpreti come alloggio destinato all'effettiva abitazione della famiglia del locatario; ma se questo è il significato dell'espressione si potrebbe ritenere che il requisito sussista anche se si possegga altra casa di abitazione data in locazione o destinata ad abitazione secondaria. Il problema, peraltro, si risolve agevolmente, allorquando il notaio sia chiamato a stipulare l'atto di vendita dell'appartamento, facendogli carico professionale di riscontrare che l'appartamento sia stato locato nel rispetto della legge n. 179/1992, circostanza, quest'ultima, che deve essere accertata dall'ente locatore a monte dell'atto di vendita. Gli alloggi possono essere realizzati (e il contributo dello Stato è previsto a loro favore): a) da imprese di costruzione o loro consorzi; b) da cooperative edilizie o loro consorzi; c) da enti pubblici istituzionalmente operanti nel settore dell'edilizia pubblica residenziale (in specie gli IACP); d) da enti, privati e società; per quest'ultima categoria è prevista la seguente limitazione: deve trattarsi di alloggi per i propri dipendenti. Per gli IACP nasce un primo problema: sono essi tenuti ad osservare i rispettivi statuti o discipline normative, oppure si può affermare che la nuova normativa abbia completamente innovato in materia? Si propende per questa seconda soluzione, perchè appare fin troppo ovvio che la nuova disciplina, stabilendo un canone di locazione di importo poco distante da quello di mercato (art. 8, comma 3), e richiamandosi alla legge sull'equo canone (legge n. 392/1978), abbia sostanzialmente inteso privilegiare l'esigenza di favorire le locazioni di alloggi rispetto a quella di farne usufruire soltanto i beneficiari meno abbienti. Si può pertanto affermare che anche gli IACP, con le nuove norme, non siano più tenuti ad assegnare l'alloggio in locazione soltanto ai soggetti che abbiano le caratteristiche dell'edilizia economica e popolare. Per quanto attiene alla cessione degli alloggi in discorso la legge n. 179/1992 stabilisce due categorie: 1) Alloggi destinati alla locazione con proprietà differita - a) Essi devono essere locati per un periodo non inferiore ad otto anni; b) la locazione è congiunta con patto di vendita, che può realizzarsi dopo gli otto anni o alla fine di un più lungo periodo locativo; c) la vendita avviene a vantaggio del solo conduttore; d) quest'ultimo deve possedere i requisiti soggettivi stabiliti dalla legge n. 457/1978 al momento dell'inizio della locazione. E' da ritenersi che questi immobili non possono essere ceduti, prima degli otto anni o del più lungo termine di locazione, neppure per interi fabbricati. Ciò, sia perchè l'art. 9 secondo comma non richiama l'art. 8 comma 6 (che appunto disciplina l'ipotesi di vendita per interi complessi), sia perchè, in caso contrario, verrebbe ad essere tradito il patto di futura vendita, vanificando nella sostanza le attese del locatario futuro acquirente. 2) Alloggi destinati semplicemente alla locazione - a) Essi sono locati per la durata minima di otto anni; b) scaduto l'ottavo anno di locazione l'alloggio può essere ceduto, con diritto di prelazione a favore del conduttore; c) entro gli otto anni l'alloggio può essere ugualmente ceduto, ma non più singolarmente, bensì a patto che la vendita riguardi immobili costituenti complessi unitari, fermo restando che al conduttore è in tal caso garantita la prosecuzione della locazione per il termine di otto anni. Così definite le due categorie di alloggi, affiorano, in relazione all'attività del notaio, i seguenti problemi. A) Dies a quo per il calcolo degli otto anni. Il testo della legge è piuttosto generico. Appare ininfluente la data del certificato di abitabilità, dal quale non si desume certamente la destinazione dello stabile o della singola unità immobiliare alla locazione. Ed appare altresì ininfluente la decisione dell'ente costruttore o del privato di destinare l'immobile a locazione, sia perchè tale circostanza difetterebbe di data certa, sia perchè la legge sembra privilegiare l'effettiva utilizzazione del bene come alloggio locato. In definitiva, se la destinazione dell'alloggio a locazione è lo strumento la cui concretizzazione giustifica il contributo statale, non ha senso ritenere sufficiente la sola destinazione astratta a locazione, senza preoccuparsi di realizzare quest'ultima. Diversamente opinando, l'alloggio può restare sfitto per anni e, ciò malgrado, ritenere assecondata la finalità della legge. Appare pertanto plausibile affermare che gli otto anni decorrono dal giorno di inizio della locazione, fermo restando che la cessione in blocco dello stabile deve ritenersi possibile anche prima del giorno predetto. B) A chi può essere ceduto l'alloggio. La legge non sembra richiedere particolari requisiti soggettivi. Essa infatti si muove fuori dalla logica dell'edilizia residenziale pubblica, in quanto sembra privilegiare la destinazione dell'alloggio a locazione e soddisfare così il bisogno abitativo della collettività. Anche i limiti di reddito previsti dalla legge n. 457 del 1978, ove operativi (con esclusione pertanto delle cooperative, degli enti pubblici edilizi e pubblici in genere), si riferiscono infatti alla fase antecedente di costruzione degli alloggi o di restauro di essi e non concernono il momento successivo dell'alienazione dell'abitazione. Lo si desume anche dall'art. 10 della legge, il quale stabilisce che gli alloggi in discorso "realizzati da comuni, da IACP e da loro consorzi sono destinati prioritariamente ai soggetti da considerare decaduti dall'assegnazione". La norma va interpretata nel senso che, se è motivo di preferenza non il requisito di precedente assegnatario ma quello di decadenza di tale qualifica, poichè la decadenza involge il venire meno dei requisiti soggettivi per beneficiare dell'assegnazione, questi requisiti non operano ai fini della locazione prevista dalle norme in discorso. III - Recupero Il capo IV della legge n. 179 dedicata al recupero non pone particolari problemi per il notariato. Caratteristiche essenziali delle nuove norme sono: ù una maggiore quota di finanziamenti destinati all'operazione (30 per cento, anzichè 15 per cento, delle disponibilità per l'edilizia sovvenzionata) (art. 11, primo comma); ù sistemazione provvisoria degli abitanti negli alloggi da recuperare (art. 11, 2 comma); ù risanamento anche delle parti comuni del fabbricato (art. 12); ù revisione degli articoli del codice civile sul funzionamento delle assemblee del condominio degli edifici, per avvantaggiare le deliberazioni dei condomini di procedere al recupero dello stabile (art. 15, 1 comma); ù affinchè alle decisioni assembleari (del consorzio, del condominio, della cooperativa edilizia) sull'impegno di ogni proprietario a concorrere nelle spese di recupero sia attribuito il valore di titolo esecutivo, è necessario che le decisioni stesse siano redatte "nelle forme di scrittura pubblica" (art. 15, terzo comma); il che fa ritenere che decisioni debbano essere documentate in verbale pubblico redatto dal notaio. Poichè la legge richiede la forma pubblica per le decisioni, cioè per il contenuto delle deliberazioni condominiali, ad assecondare la norma non dovrebbe ritenersi sufficiente l'autenticazione del verbale redatto da presidente e segretario di detta assemblea, poichè la scrittura anche in tal caso manterrebbe natura di forma privata: è infatti risaputo che la giurisprudenza attribuisce solo all'atto di autenticazione valore di atto pubblico e non alla scrittura cui esso inerisce. Per il verbale di assemblea condominiale richiesto al notaio si porranno problemi analoghi a quelli che sorgono in materia di verbale di assemblea societaria: ruolo del notaio, natura dell'atto, identificazione della parte, obbligo o meno di rispettare l'art. 28 della legge notarile, limite delle norme di forma contenute nella legge notarile applicabili al caso. IV - Cooperative edilizie a proprietà indivisa Il capo VI della legge n. 179/1992 (artt. 17-19) è riservato alle cooperative edilizie a proprietà indivisa. Trattasi di istituto, questo, poco approfondito in dottrina e che, dal precedente legislatore, ha ricevuto scarsa attenzione. Le poche leggi che lo riguardano si limitano ad ammetterne o limitarne la trasformabilità in cooperative a proprietà individuale (art. 91 T.U. 1938 sull'edilizia economica e popolare; legge 1 marzo 1952, n. 13; D.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2; legge 27 aprile 1962, n. 231; legge 22 ottobre 1971, n. 865), oppure a favorire quelle a proprietà indivisa nell'erogazione dei contributi statali, o nella concessione di aree dei piani PEEP (art. 35, comma 6, legge n. 865/1971). La legge n. 179 dà un più articolato spazio alla possibilità di cessione degli alloggi delle cooperative a proprietà indivisa, purchè con autorizzazione regionale e previa modifica dello statuto e dell'atto costitutivo della società. Appare di particolare rilievo la norma che prevede la necessaria preventiva modifica della convenzione con il Comune allorquando essa preveda la cessione dell'area PEEP in diritto di superficie (art. 18, lett. c). V - Alienazione degli alloggi di edilizia agevolata L'art. 20 della legge n. 179 stabilisce che a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa legge "gli alloggi di edilizia agevolata possono essere alienati": a) quando sussistano gravi e sopravvenuti motivi, previa autorizzazione della Regione; b) comunque quando siano decorsi cinque anni dall'assegnazione o dall'acquisto. Il primo problema che si pone è se l'autorizzazione regionale occorra anche nel caso sub b) e la risposta più plausibile appare quella negativa: infatti l'autorizzazione è atto amministrativo che involge una valutazione di merito che, mentre ha un senso nella fattispecie sub a), perchè si tratta di sottoporre al vaglio la gravità dei motivi e la sopravvenienza di essi rispetto alla data dell'acquisto o dell'assegnazione, non ne ha più allorquando è la stessa legge a stabilire in modo automatico la circostanza che facoltizza la cessione. Il secondo problema concerne il significato dell'espressione "edilizia agevolata", che tradizionalmente è quella realizzata con interventi creditizi di particolare favore, con contributo dello Stato. Caratteristica di questo settore è che l'intervento edilizio viene previsto in capo ad enti pubblici, cooperative edilizie, imprese, soggetti privati. Si tratta ora di sapere se nel termine di "edilizia agevolata" siano o meno da ricomprendere anche gli alloggi di edilizia sovvenzionata (realizzati, cioè, da enti pubblici preposti al settore edilizio: IACP), allorquando le costruzioni siano avvenute a condizioni creditizie di favore anche per detti enti. E' questo, probabilmente, il punto nodale per mettere a fuoco il significato della nuova normativa. Si è assistito, già con la c.d. "edilizia convenzionata" prevista dalla legge n. 865/1971, e poi con la legge n. 457/1978 in tema di edilizia agevolata, ad una graduale ma continua assimilazione normativa dell'edilizia sovvenzionata alle altre due forme di edilizia. Ancorchè, infatti, potesse individuarsi in astratto come edilizia sovvenzionata quella del tutto costruita sulla base di fondi dello Stato, essa finiva per delinearsi in modo proprio e completo soltanto per le leggi anteriori alla legge n. 513 del 1977, caratterizzate tutte da un completo esborso di denaro da parte dello Stato. Al fondo di ciò c'è forse la seguente considerazione: vista l'incapacità dell'IACP a realizzare un'edilizia sufficiente al fabbisogno abitativo, si è preferito agire su una pluralità di soggetti realizzatori di programmi edilizi: i privati, le imprese edilizie, le cooperative, gli enti pubblici non edilizi. Ad un tempo l'ampliamento dei soggetti operatori ha modificato la struttura dell'edilizia residenziale pubblica: si è ampliato l'intervento finanziario dello Stato, passando da un assistenzialismo puro, proprio del passato, ad un intervento contributivo operativo nel rispetto delle regole del mercato finanziario degli istituti bancari. In questo modo i fruitori finali sono risultati soggetti con un reddito non eccessivo, ma certamente ben diversi dai ceti meno abbienti dell'edilizia economica e popolare. Tutto ciò fa giungere alla conclusione che anche per gli IACP possa parlarsi di edilizia agevolata, a patto che detti Istituti ricorrano anch'essi, come la legge espressamente consente, al credito agevolato proprio degli altri soggetti abilitati a realizzare edilizia residenziale pubblica. Ma da ciò deve dedursi che anche gli alloggi degli IACP debbano sottostare, ove se ne verifichino i presupposti, alla disciplina prevista dall'art. 20 della legge n. 179/1992. Il terzo problema riguarda il dies a quo del quinquennio, che parla di data "di assegnazione o di acquisto". Il termine "assegnazione" può essere riferito tanto all'assegnazione in locazione quanto all'assegnazione a socio di cooperativa. Il termine "acquisto" si riferisce all'ipotesi che il contributo dello Stato sia stato concesso per l'acquisto di costruzione già realizzata. Si può verificare una duplice ipotesi: a) che la costruzione - realizzata con mutuo agevolato e contributo - sia stata locata per un periodo superiore al quinquennio; in tal caso essa può essere certamente alienata; b) che la costruzione sia stata acquisita con mutuo agevolato e contributo: in tal caso essa può essere alienata a patto che sia trascorso un quinquennio dalla data dell'acquisto. Resta da stabilire che accada per la costruzione realizzata con contributo e mutuo di favore, ma non locata. L'ipotesi può essere certamente ricompresa nel concetto di "acquisto a titolo originario" e ritenere anche in questo caso l'alienabilità entro il quinquennio dall'ultimazione della costruzione stessa. L'art. 20 in discorso si riferisce all'edilizia agevolata; data la genericità dell'espressione, essa norma finisce per coinvolgere le seguenti disposizioni: D.L. 6 settembre 1965, n. 1022, convertito in legge 1 novembre 1965, n. 1179; legge 5 agosto 1978, n. 457; D.L. 15 dicembre 1979, n. 629, convertito in legge 15 febbraio 1980, n. 25; legge 18 dicembre 1986, n. 891. Caratteristica di tutte le norme sopra accennate è quella di non prevedere un divieto di alienazione colpito da nullità, ma al limite un divieto colpito da decadenza dai contributi dello Stato; donde la conclusione che, almeno secondo le leggi più sopra enunciate, in tema di edilizia agevolata i divieti che valevano per l'edilizia sovvenzionata (IACP) e per l'edilizia convenzionata (costruzioni su aree in proprietà nei piani di zona) non avessero ragion d'essere. Invece il legislatore del 1992, di fatto riproducendo una norma contenuta nel D.L. n. 1022/1965 (art. 12) ha previsto in via generale il limite quinquennale di inalienabilità dell'alloggio di edilizia agevolata, limite ritoccabile previa autorizzazione della Regione giustificata da motivi gravi e sopravvenuti. Questa norma, più rigorosa rispetto al principio predetto, è di difficile comprensione, soprattutto se la si confronta con l'abrogazione dei divieti previsti dall'art. 35 della legge n. 865/1971 in tema di edilizia convenzionata. Una risposta logica potrebbe essere la seguente: considerato che gran parte dell'edilizia convenzionata è anche agevolata, se ne ricava che rientrerebbero per questa strada divieti cancellati dall'ambito dell'edilizia convenzionata. In questo modo si verificherebbe una semplificazione dei divieti che ubbidisce a criteri di razionalità. VI - Edilizia convenzionata Il termine di "edilizia convenzionata" è stato solitamente utilizzato per individuare l'edilizia realizzata su piani di zona previsti dalla legge 18 aprile 1962, n. 167, come modificata dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865, o nelle localizzazioni stabilite, in alternativa ai piani di zona, dall'art. 51 stessa legge n. 865. Trattasi di edilizia caratterizzata da una convenzione tra comune e beneficiario dell'area, nonchè da alcuni vincoli stabiliti dall'art. 35 della legge n. 865 sopra citata. Fino alla data di entrata in vigore della legge n. 179 del 1992 (16 marzo 1992, lo si ripete) la disciplina desumibile dall'art. 35 poteva così sintetizzarsi: ù divieto temporaneo (10 anni dall'abitabilità) di alienazione dell'alloggio costruito su area ceduta in proprietà (art. 35, 15 comma); ù nessun divieto per gli alloggi su area acquisita in diritto di superficie; ù nessun divieto per l'alienazione di immobili diversi da quelli di abitazione (locali commerciali, box, seminterrati, garage, ecc.); ù decorso il decennio, la cessione poteva avvenire soltanto a favore di soggetti aventi i requisiti di beneficiari degli alloggi di edilizia economica e popolare e a prezzo determinato dall'UTE (art. 35, 16 comma); ù decorso il ventennio, la cessione poteva avvenire a vantaggio di chiunque, ma con pagamento, a favore del comune, del maggior valore dell'area tra il momento dell'acquisto di essa e il momento della cessione dell'alloggio (art. 35, 17 comma); ù il divieto di cui ai punti precedenti era sanzionato espressamente con la nullità, fatta valere dal comune, da qualunque interessato, d'ufficio dal giudice (art. 35, 19 comma). L'art. 23, comma 2, della legge n. 179/1992 ha stabilito espressamente l'abrogazione "dei commi 15, 16, 17, 18 e 19 dell'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865". Il che significa che, dalla data di entrata in vigore della nuova legge debbono ritenersi automaticamente venuti meno i divieti previsti dalla disciplina precedente. Ciò comporta che l'atto contrario al divieto compiuto precedentemente resta nullo, perchè l'abrogazione non opera ex tunc. Non si tratta, infatti, di norma interpretativa, dato il contenuto espresso e rigoroso stabilito dai commi predetti dell'art. 35, che evidentemente non si prestavano a dubbi interpretativi di questo genere. Pertanto se il notaio abbia ricevuto un atto nullo in precedenza non può certamente sostenere di poterlo sanare riconducendo la reviviscenza dell'atto ex tunc; non resta che consigliare, in questi casi, una riproduzione dell'atto fra le stesse parti, ove possibile. L'abrogazione delle norme citate ha travolto i seguenti aspetti: ù la nullità del trasferimento entro il decennio; è stata in tal modo uniformata la disciplina delle aree cedute in superficie con quella delle aree cedute in proprietà; ù la nullità dei trasferimenti, sia nel caso del decennio che nel caso del ventennio, ove realizzati a favore di soggetti carenti dei requisiti soggettivi di edilizia residenziale pubblica; ù la nullità dei trasferimenti oltre il decennio in caso di mancanza della valutazione Ute sul prezzo di vendita; ù la nullità dei trasferimenti oltre il decennio, in caso di mancato assolvimento dell'obbligo di corrispondere al comune l'esubero del valore di prezzo dell'area. Per riconoscere una patina di razionalità alla soppressione delle norme in discorso si potrebbe tentare di individuarne una duplice ragione. In primo luogo il desiderio di rendere l'acquisto dell'area del piano di zona in diritto di proprietà simile, sul piano della trasferibilità, all'acquisto dell'area in diritto di superficie. Nel passato, infatti, si poteva notare una certa contraddizione tra le due differenti discipline: il divieto mancava proprio nell'ipotesi di maggiore inerenza del diritto trasferito (superficie) alla qualificazione dell'area come patrimonio indisponibile del comune. In secondo luogo la circostanza che gran parte dell'edilizia convenzionata ex art. 35 della legge n. 865 diviene edilizia agevolata; per effetto dell'art. 22, secondo comma, della legge n. 179/1992, per cui i programmi di edilizia agevolata sono localizzati: ù sui piani di zona; ù nelle locazioni ex art. 51 legge n. 865; ù su aree esterne ai predetti piani o aree localizzate (ma in questo caso previa convenzione secondo criteri stabiliti dal Cer e recepiti dalla regione). Ciò comporta evidentemente che, ai fini del divieto, l'edilizia convenzionata va ripartita in: a) edilizia non agevolata, per la quale non esistono divieti di commerciabilità dell'alloggio; b) edilizia agevolata, per la quale opera il divieto sopra illustrato recato dall'art. 20 della legge n. 179/1992. Resta da chiarire un ultimo punto: è risaputo che le convenzioni col comune riproducono i divieti di cessione previsti dall'art. 35; soppressa la norma come potranno essere valutati tali divieti? Si può ritenere che valga in tal caso l'art. 1379 codice civile sui divieti temporanei di alienazione stabiliti in forma contrattuale: efficacia soltanto tra le parti e nessuna sanzione di nullità. Il problema potrebbe complicarsi ove nella convenzione esistesse una clausola concernente la decadenza dalla concessione dell'area nell'ipotesi di trasgressione del divieto di alienazione. Ma evidentemente anche in tal caso, essendo venuta meno la norma tassativa, si può affermare che non esistano più le condizioni di interesse pubblico idonee a giustificare un ricorso del comune all'azione di decadenza. Si potrebbe anche profilare un'ulteriore interpretazione: ritenere dette clausole convenzionali la semplice riproduzione, priva di contenuto volitivo, delle abrogate norme di legge; e ritenere che la cessazione di queste ultime abbia fatto venir meno anche la ragion d'essere delle predette clausole. VII - Gestione alloggi IACP Per assimilazione di materia occorre darsi carico di esaminare la reale portata dell'art. 28 legge 30 dicembre 1991, n. 412, il quale ha consentito l'alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica realizzati dallo Stato, da enti pubblici territoriali (Regione, Provincia, Comune), dagli IACP. La norma predetta, nell'intento di sbloccare il patrimonio degli IACP per ridurre il disavanzo, costituisce un'inversione di tendenza rispetto alla legge 8 agosto 1977, n. 513 (che aveva limitato nel tempo la cedibilità degli alloggi in locazione degli IACP e stabilito un prezzo maggiore rispetto a quelli determinabili in precedenza, unitamente ad una rigorosa disciplina di divieti e di limitazioni al commercio degli alloggi ceduti: art. 28). Era, per il vero, applicabile anche l'art. 29 della stessa legge, che prevedeva la cedibilità del patrimonio edilizio degli IACP ma in misura assolutamente marginale per casi di indubbia utilità e previa autorizzazione della Regione. La nuova norma esclude dal proprio ambito, oltre agli alloggi di servizio (che per tradizione vengono lasciati fuori dall'edilizia residenziale pubblica) anche gli alloggi realizzati ai sensi della legge n. 457/1978, cioè gli alloggi che, pur concretizzati da enti edilizi e IACP, siano stati posti in essere ricorrendo ai mutui agevolati previsti dalla predetta legge (art. 28, secondo comma). L'art. 28 in discorso finisce pertanto per trovare applicazione nell'ipotesi di "edilizia sovvenzionata", cioè per gli alloggi realizzati dallo Stato, da enti territoriali e da IACP a completo carico dello Stato, in base a leggi precedenti alla legge n. 457/1978. Come raccordare l'art. 28 in discorso con la legge n. 179/1992 sull'edilizia residenziale pubblica? Si possono fissare i seguenti concetti: 1) l'art. 28 della legge n. 412/1991 si occupa degli alloggi degli IACP (e degli altri enti pubblici ivi indicati) realizzati comunque prima della legge n. 457/1978 (cosiddetta edilizia sovvenzionata); 2) la legge n. 179/1992 si occupa degli alloggi, da chiunque realizzati (e quindi anche dagli IACP) secondo le provvidenze della legge n. 457 del 1978 e successive norme di favore ivi comprese quelle previste dalla stessa legge n. 179; 3) la legge n. 179/1992 si occupa anche dell'edilizia agevolata prevista dalla legislazione anteriore (e quindi esclusi gli alloggi di edilizia sovvenzionata realizzati dallo Stato o dagli IACP in data anteriore alla legge n. 457/1978). In definitiva, allo scopo di orientarsi con una certa sicurezza in questo groviglio di norme, appare indispensabile, prima di ogni altra cosa, individuare la legge sulla base della quale è stato realizzato l'alloggio di cui si discute. La legge n. 412/1991 prevede la cessione degli alloggi: a) sulla base di un piano di cessione predisposto dagli IACP e approvato dalla Regione; b) a favore dei soli locatari; c) a patto che la locazione abbia durata superiore al decennio e che il locatario non sia in mora con il pagamento dei canoni. La legge stabilisce che l'alienazione è consentita "esclusivamente per il conseguimento di finalità proprie dell'edilizia abitativa pubblica", espressione molto generica e di incerto contenuto, che forse può leggersi in relazione all'utilizzazione dei fondi ricavati dalla cessione, che debbono essere reinvestiti per l'incremento del patrimonio abitativo. L'alienazione è prevista nel duplice modo seguente: 1) trasferimento dell'alloggio con pagamento del prezzo in unica soluzione (nel qual caso il prezzo viene ridotto del 10 per cento); 2) trasferimento dell'alloggio con dilazione del prezzo per non più di quindici anni e iscrizione ipotecaria a garanzia di questo; anche in tal caso il trasferimento della proprietà è immediato. Il prezzo di vendita è costituito dal valore catastale in base alle tariffe di estimo di recente aggiornate, il che determinerà possibili difficoltà di concretizzazione del risultato voluto dal legislatore. La legge tace sulla sorte dell'alloggio ceduto in ordine alla sua ritrasferibilità. Nel silenzio è da ritenersi che l'alloggio sia cedibile senza alcuna limitazione. Lo si desume dal D.P.R. 14 febbraio 1992 recante atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni sui piani di cessione degli alloggi in discorso, il cui art. 7 ha disposto che "i contratti di cessione degli alloggi possono prevedere una clausola contenente il divieto di vendita dell'alloggio per un certo numero di anni, in particolare quando esso è localizzato in centri storici". Infatti con questa disposizione si lascia intendere che sarà il contratto la fonte di un eventuale divieto temporaneo di alienazione, divieto che può in concreto mancare e che, se sussisterà, non potrà avere valore diverso da quello stabilito dall'art. 1379 codice civile: effetto soltanto tra le parti e quindi nessun riflesso sulla nullità dell'atto di cessione, che resta valido in ogni caso, non potendosi ritenere consentita la nullità pattizia (confronta, da ultimo, Cons. Stato 10 gennaio 1990, n. 9, in Riv. giur. ed., 1990, p. 394). Sotto questo aspetto sembra di poter affermare che non sia consentito alla Regione introdurre divieti di alienazione nella propria futura legislazione regionale relativa alla materia in discorso; ciò sotto un duplice riflesso: da un lato perchè la Regione ha compiti limitati all'approvazione del piano di cessione degli alloggi (art. 28, comma 5) che presumibilmente si concretizzerà in un atto amministrativo e non in un atto legislativo; da un altro lato perchè non sembra che possa riconoscersi alla Regione competenza legislativa nella materia considerata soltanto sulla base di un atto di indirizzo del Governo, quale è il D.P.R. 14 febbraio 1992, che non si sostanzia in un atto rivestente valore normativo, ma soltanto di coordinamento delle molteplici attività delle Regioni. Si pone adesso un problema di coordinamento tra la legge n. 412/1991 e l'art. 29 della legge n. 513/1977. L'art. 28, comma 10, della legge n. 412 stabilisce infatti che fino all'entrata in vigore dell'approvazione regionale continua ad applicarsi l'art. 29 della legge n. 513, fermo restando che se la Regione non abbia ancora autorizzato la cessione, il valore del bene è quello più ampio basato sui dati catastali. Come deve interpretarsi questo richiamo all'art. 29 della legge n. 513? Può ritenersi che, almeno per questa fase transitoria, tornino applicabili i divieti previsti dall'art. 28 stessa legge n. 513? L'art. 29, secondo comma, della legge n. 513 infatti stabilisce che "la cessione avviene alle condizioni e con le modalità previste dal precedente art. 28". Sembra di poter rispondere negativamente, nel senso cioè che condizioni e modalità attengono al primo atto di cessione (prezzo, trasferimento della proprietà all'atto della stipula, iscrizione di ipoteca per il residuo prezzo) e non si riferiscano alla possibilità di rivendita successiva dell'alloggio. In altre parole sembra di poter affermare che anche nella fase transitoria, come opera il nuovo prezzo dell'alloggio e come opera la cedibilità dell'alloggio, così opera la mancanza di un divieto di rivendita. Studio Tributario Mantovani _____________________________________________________________________________ PAGE PAGE 4 ______________________________________________________________________________________________________ Rag.Mario Mantovani Commercialista Revisore Contabile Curatore Fallimentare Consulente Tecnico del Tribunale di Roma in Stima e valutazioni di aziende" />
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Relazione su effetti indiretti della L. 248/2006 sull’edilizia convenzionata ed agevolata. Analisi sulla trasferibilità degli immobili in edilizia convenzionata.-

Relazione su effetti indiretti della L. 248/2006 sull’edilizia convenzionata ed agevolata. Analisi sulla trasferibilità degli immobili in edilizia convenzionata.-

Autore Studio d'Aragona Legali Associati
Data pubblicazione 12-12-2006
Data aggiornamento 02-07-2014
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